Quei 101 voti in meno per Romano Prodi sono solo l’inizio della fine. Da lì in poi c’è solo il baratro per il Pd: e questo mette d’accordo un po’ tutti, per una volta. Pier Luigi Bersani si riunisce con Dario Franceschini, Enrico Letta e pochi fedelissimi. Non sa che fare. Le dimissioni le ha già pronte nel cassetto, le tirerà fuori in assemblea: “Per me è troppo. Consegno all’assemblea le mie dimissioni. Operative da un minuto dopo l’elezioni del Presidente della Repubblica”, dice all’assemblea Pd. Anche Rosi Bindi si dimette dalla presidenza dell’assemblea Pd, subito. Bersani: “Non riesco ad accettare il fallimento su Prodi. Un tradimento che non mi aspettavo”. Un’assemblea tesissima dove Bersani, descritto dai presenti come furioso, annuncia le sue dimissioni accusando i franchi tiratori di essere dei traditori. Un’accusa che al termine dell’intervento del segretario viene rilanciata da altri, tra i quali Dario Franceschini che, a quanto si apprende, ripete le parole di Bersani: “uno su quattro ha tradito”. L’addio di Bersani dopo che sarà risolto il nodo del presidente della Repubblica si consuma così tra gli applausi, anche polemici, di qualcuno, e le accuse incrociate tra le varie tifoserie, alimentando il sospetto che il Pd sia a un punto di rottura nel quale non si escludono scissioni. Nel Pd è tempesta e sospetti, la sensazione di un partito che non c’è più, che non si può ricomporre. Data la situazione, le dimissioni suonano più come ‘bandiera bianca’, un rompete le righe: ognuno voti quel che può, quel che vuole. E dunque non è escluso che ci si divida tra Stefano Rodotà e Annamaria Cancellieri, i due in pista. Una prima prova di scissione, un congresso anticipato. Nel peggiore dei modi e nel momento peggiore.