Manifesto dei piccoli comuni

piccolicomuniManifesto dei Piccoli Comuni approvato nell’ultima dalla XV Conferenza Nazionale Anci Piccoli Comuni (Cagliari, 10 Luglio 2015). 

PIU’ VALORE AI TERRITORI

La Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; attua nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle esigenze dell’autonomia e del decentramento (articolo 5 della Costituzione).

NON MEMO COMUNI MA PIÙ COMUNE

• più presidio del territorio, più autonomia di pensare politiche di tutela e crescita delle comunità locali, miglioramento delle condizioni per erogare servizi e garantire la qualità di vita alle popolazioni, sono condizioni essenziali per assicurare lo sviluppo dei territori, strumenti di contenimento della spesa pubblica e non certo di spreco, per contrastare il dissesto, l’abbandono e il depauperamento del valore delle nostre culture più profonde, oggi gran parte del Made in Italy rappresentato ad Expo 2015;
• più possibilità di elaborare strategie di rilancio del nostro sistema produttivo che ha trovato in tanti Sindaci concrete capacità propositive;
• più libertà e possibilità di pianificazione di lungo periodo;
• più sostegno ai campanili perché il problema non è il numero dei campanili che sono “l’ossatura” del Paese ma piuttosto, attraverso una maggiore coesione e cooperazione, sono LA risposta per la sua tenuta;
• meno “Click Day” e più politiche di programmazione per il territorio.

MENO LUOGHI COMUNI

Quanti sono i Comuni, in Italia e in Europa, in relazione alla popolazione?

Germania: 83.000.000 abitanti, 12.000 Comuni
Francia: 62.000.000 abitanti, 36.000 Comuni
Austria: 8.000.000 abitanti, 2.300 Comuni
Spagna: 47.000.000 abitanti, 8.100 Comuni
Svizzera: 8.000.000 abitanti, 2.516 Comuni
Italia: 60.000.000 abitanti, 8.000 Comuni

Qualche altro dato tra i tanti:
• I piccoli Comuni in Italia rappresentano oltre il 70% dei Comuni italiani, con una superficie territoriale – amministrata – che supera il 54% di quella nazionale e una popolazione di oltre 10 milioni di abitanti;
• Incidendo per l’1% della spesa pubblica i Piccoli Comuni erogano, in area vasta, servizi a milioni di cittadini e curano più della metà del territorio nazionale;

I piccoli Comuni costituiscono nella gran parte dei casi l’unica presenza dello Stato sui territori e il presidio essenziale del cittadino nel rapporto con le istituzioni e per l’erogazione dei servizi essenziali alle persone e alle imprese.

I sindaci dei piccoli Comuni vogliono essere protagonisti, non conservatori ma innovatori, con dignità e autonomia finanziaria e gestionale, per assolvere pienamente alla propria responsabilità di mandato rispetto alle comunità amministrate.

LA GESTIONE DELLE RISORSE

Uno Stato “appesantito” non deve prescrivere diete a chi è già in condizione di “anoressia”.

L’azione sui tributi locali e l’aumento delle aliquote riscontrato negli ultimi anni costituiscono scelte dello Stato centrale e non espressione di autonomia dei Comuni.
I piccoli Comuni chiedono di superare la condizione di precarietà nell’ordinamento della finanza locale, per ripartire con gli investimenti in un assetto tributario certo e stabilizzato.
Il contributo palesemente sproporzionato richiesto ai Comuni per il risanamento della finanza pubblica è oggi riconosciuto a tutti i livelli: 17 miliardi di contributo negli ultimi 8 anni, 12,3 negli ultimi quattro, a fronte di una spesa comunale che si attesta al 7,4% rispetto al resto della Pa. Una sproporzione evidente che ha portato a ridursi non solo gli investimenti, con un drammatico -38%, ma anche spese tradizionalmente rigide come quella del personale, che diminuisce del 15%.
L’irrigidimento delle spese per il welfare e le manutenzioni sono state salvaguardate ma con grande sacrificio che, tuttavia, oggi non esclude il rischio che si innesti una vera e propria emergenza sociale.
E’ stato detto addio alla finanza derivata, ma senza riconoscimento di una autonomia fiscale effettiva ai Comuni e ai territori.
Occorre un nuovo meccanismo perequativo del Fondo di solidarietà comunale. L’attuale sistema amplifica gli effetti distorsivi, penalizzando in particolare i piccoli Comuni.
Risultato: maggiore prelievo locale senza maggiori benefici locali.
In definitiva una parte rilevante dei tributi comunali è stata utilizzata come contributo al risanamento della finanza pubblica nazionale.

PROPOSTE DI INTERVENTI A FAVORE DEI PICCOLI COMUNI
• Definitivo superamento del Patto Stabilità a partire dai Piccoli Comuni
• Urgente definizione della Local Tax nel rispetto dell’Autonomia dei territori, anche tenendo conto degli Enti che eroga servizi in area vasta
• In materia di finanza locale e in particolare di assegnazioni da Fondo Solidarietà Comunale 2015, occorre destinare ai Piccoli Comuni, come già richiesto dall’ANCI, una quota adeguata che residua dal FSC 2014, al fine di compensare le riduzioni di assegnazione dovute all’applicazione del riparto perequativo del FSC 2015. Il riparto perequativo del 20% dell’FSC ha infatti penalizzato in modo eccessivo un’ampia fascia di Enti di minore dimensione demografica, aggravando in modo spesso insostenibile i già pesanti tagli aggiuntivi decisi per il 2015.
• Rivedere le modalità di applicazione della perequazione basata sui fabbisogni standard e sulle capacità fiscali, che non è stata oggetto di un adeguato confronto tecnico-politico, al fine di giungere a soluzioni condivise e sostenibili per tutto il comparto
• Sblocco degli avanzi di amministrazione prima dell’entrata in vigore del nuovo ordinamento di bilancio
• Gestioni Associate. L’Associazionismo è una opportunità da cogliere da parte di tutti i Comuni, attraverso processi che partano dagli stessi Enti, nell’ottica del complessivo riordino e rafforzamento della governance territoriale. Il Limite Demografico Minimo da raggiungere, fissato dalla legge 56/2014 in 10.000 abitanti, o in 3.000 abitanti per i Comuni montani, per l’esercizio associato da parte dei Comuni fino a 5.000 abitanti (o fino a 3.000 ab. se montani) – delle funzioni fondamentali tramite Unioni e Convenzioni, ha dimostrato di costituire nella gran parte dei casi un ostacolo alla costruzione di processi associativi funzionali ed efficaci. Questo aspetto è divenuto una ancor più evidente criticità nelle Regioni che non hanno disciplinato un diverso limite demografico come consentito dall’art. 1, comma 107, lettera b). Ad oggi alcune Regioni hanno comunque già definito un limite inferiore, diversificandolo da quello nazionale. In breve, il limite nazionale non presenta alcuna utilità determinante per dare concretamente avvio a tali processi, in considerazione delle evidenti diversità e specificità dei singoli territori.
La gestione associata obbligatoria come attualmente disciplinata non tiene conto della reale collocazione geografica dei Comuni che in molti casi sono contigui a Comuni non assoggettati all’obbligo. Questa condizione impedisce generalmente di poter condividere tra Comuni sopra e sotto i 5.000 abitanti la finalità dell’Associazionismo. I tentativi di gestione associata di tutte e 10 le funzioni fondamentali non hanno prospettato la possibilità di raggiungere una maggiore economicità ed efficienza ma in molti casi un aumento della spesa o addirittura l’inibizione del processo associativo per oggettive difficoltà attuative.
Una soluzione più funzionale e più rispettosa dell’autonomia locale dovrà prevedere – attraverso un Comitato Permanente per il Coordinamento dei Processi di Riorganizzazione Territoriale del sistema dei Comuni – una ridefinizione di ambiti adeguati e omogenei che interessino il sistema dei Comuni, ad eccezione delle Città Metropolitane, ed entro i quali realizzare processi di riorganizzazione territoriale per rafforzare la rappresentanza degli Enti, la capacità progettuale, quella dell’offerta dei servizi ai cittadini ed alle imprese, prevedendo in tali ambiti la gestione associata di non meno di 3 funzioni fondamentali.
In considerazione di quanto premesso, è prioritario sospendere – già nella legge di conversione del decreto legge enti locali – la scadenza del termine fissato al 31 dicembre 2015 per il completamento della gestione associata delle 10 funzioni fondamentali secondo l’impianto normativo vigente. Conseguentemente, i lavori del Comitato permanente sopra citato dovranno portare all’individuazione degli ambiti adeguati ed omogenei entro 12 mesi dall’entrata in vigore della nuova normativa.
• Modifica del metodo di elezione degli organi delle nuove Province per renderlo più equilibrato tenendo conto anche della superficie territoriale oltre al numero di abitanti per determinare il peso del voto ponderato
• Semplificazione normativa, in particolare in materia di personale, per attuare le riforme in atto
• Superamento dell’IMU agricola senza ricadute negative sui bilanci 2016
• No a “Click-Day” per finanziamenti ai Comuni ma fondi programmabili e certi per ripresa degli investimenti strutturali
• Centrali Uniche di Committenza: Le disposizioni attuali in materia di acquisti centralizzati pur condivisibili nella ratio generale, rischiano di essere causa di ulteriori penalizzazioni e aumenti di costi dovuti al quadro normativo eccessivamente complesso e che, in particolare nei piccoli Comuni, rischia di ingessare ogni tipo di acquisizione. Occorre prevedere una esenzione dall’obbligo di ricorrere alla CUC fino ad un valore di 40.000 euro, per tutti i Comuni per gli acquisti di beni, servizi e lavori, come previsto dalla precedente normativa.
• Politiche industriali che favoriscano la delocalizzazione e la permanenza delle imprese nelle aree interne
• Nuova politica di mobilità, trasporti e investimenti nelle infrastrutture viarie secondarie
• PROGETTO “CONTROESODO” PER ARRESTARE L’ESODO E RIPOPOLARE LE AREE INTERNE

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