Conseguenze non evidenti del covid

Da it.businessinsider.com

Il Covid-19 purtroppo non provoca solo una grave polmonite. Ormai sono stati riscontrati moltissimi sintomi collaterali, molti dei quali non scompaiono con la guarigione. Numerosi pazienti hanno mal di testa, deliri, disfunzioni cognitive, vertigini, fatica per lunghi tempi, oltre tre mesi, anche dopo la ripresa.

Una nuova ricerca del National Institutes of Health, l’agenzia governativa statunitense che si occupa della salute, conferma che il virus provoca anche danni al cervello che possono durare anche dopo che l’infezione se n’è andata, persino quando è stata leggera. Si tratta di una complicazione neurologica che porta ad avere difficoltà della concentrazione, cali di memoria e altri sintomi definibili come nebbia al cervello e non è dovuta all’effetto dei sedativi.

Gli studiosi analizzando gli emisferi cerebrali hanno trovato vasi sanguigni assottigliati e soggetti a perdite del fluido, con danneggiamenti all’intera struttura microvascolare.

In precedenza l’Università di Goteborg aveva già riscontrato sintomi neurofisiologici a livello cerebrale. Il Gfap, proteina acida fibrillare gliliale, un biomarker presente negli astrociti che fanno da supporto ai neuroni, e l’Nff, la proteina della catena leggera del neurofilamento erano più alti e dimostravano che le cellule che li contengono erano danneggiate.

Le persone esaminate nello studio dell’NIH avevano tra i 5 e i 73 anni, erano decedute ed è stato possibile analizzarle con l’autopsia usando una risonanza magnetica ad alta potenza. Sono stati esaminati i bulbi olfattivi e il tronco encefalico. La scansione ha rivelato che entrambe le regioni avevano dei punti di iper intensità che indicano infiammazione, e punti di ipo intensità che indicano sanguinamento.

In teoria il Covid-19 provoca una mancanza di ossigeno. Ma questa avrebbe dovuto provocare ictus ischemici o emorragici. Quanto è stato riscontrato sono invece segnali simili a quelli che si verificano in caso di infarto o problemi neuroinfiammatori.

I punti danneggiati riscontrati nel cervello sono poi stati esaminati al microscopio ed è stato visto che le iper intensità contenevano vasi sanguigni più sottili del normale e non più a tenuta stagna. Erano anche circondati da cellule T, un gruppo di leucociti che giocano un ruolo chiave nell’immunità, e da cellule della microglia, che si occupano della prima e principale difesa immunitaria nel sistema nervoso centrale. Entrambi sottolineavano l’evidenza di uno stato di grave infiammazione. Nei punti di ipo densità invece non c’era traccia di risposta immunitaria.

Inoltre in nessun campione sono state riscontrate tracce del virus. Questo ha permesso di arrivare alla conclusione che non si tratta di un’azione diretta del patogeno, ma di una reazione del corpo umano, che evidentemente reagisce alla presenza del virus andando in uno stato di estrema allerta.

Da studi effettuati in Cina si è visto che i sintomi neuropsichiatrici sono molto frequenti. Ma anche altri virus in passato hanno avuto effetti molto simili. Nel 1889 i coronavirus Orthomyxoviridae, quelli dell’influenza A, avevano lasciato un seguito di encefaliti. La spagnola, nel 1918, provocò un milione di encefaliti di tipo parkinsoniano. E chi è sopravvissuto alla Sars ha avuto disturbi della memoria, depressione e ossessioni.

Evidentemente la nostra reazione alla malattia coinvolge l’intero sistema nervoso, provocando una risposta eccessiva che congestiona il cervello, una risposta immunitaria sul bersaglio sbagliato. La sua distanza dalla normale influenza sembra essere sempre più netta. Non ricordare un numero di telefono, dove si sono messe le chiavi, qual era il programma della giornata, sentirsi depressi o di andare a velocità rallentata, non riuscire più a essere multitasking, fare ogni azione al rallentatore non sono indizi di età che avanza, ma normali effetti di un male che ancora non conosciamo del tutto.

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