Accettare la morte, prepararsi alla vita

Dal profilo facebook di Vincenzo Polselli

La vera serenità, la pace interiore, si acquista alla sola condizione di accettare il dato della vita. Dire sì alla vita significa accettare l’ineluttabile, ovvero le cose su cui non abbiamo alcun potere. L’evento ineluttabile per eccellenza è la morte.

L’angoscia della morte ha condotto i nostri lontani progenitori, centinaia di migliaia di anni fa, a scavare le prime tombe, e di arricchirle con utensili e ornamenti per accompagnare il defunto nell’altro mondo. Tale pratica, che indica la coscienza della finitezza e la speranza che non sia definitiva, costituisce una distinzione fondamentale fra l’essere umano e gli altri animali.

Nella cultura occidentale, formatasi nell’humus giudaico-cristiano, un tempo accettavamo con più facilità la morte, nella misura in cui ci veniva detto, e noi ne eravamo convinti, che si trattasse di una porta verso un’altra vita nell’aldilà.

Oggi che lo scetticismo ha preso il sopravvento sulla fede, l’angoscia della morte torna ad assalirci (anche se la fede nella vita oltre la morte persiste con tenacia in altre zone del mondo, per esempio nelle culture orientali).

Io sono credente, ho fede nell’esistenza di una vita dopo la morte, ma la mia fede non è una certezza sensibile o razionale. Ammetto, con la mia intelligenza critica, di non avere prove al riguardo. La ragione mi dice che potrei covare un’illusione e che dopo la morte, dopo la mia morte, potrebbe non esserci niente. Questo dubbio non smette mai di aleggiare. Non posso dunque sapere se dentro di me sarà la fede o il dubbio a trionfare nell’ultimo istante.

Il saggio è colui che si è preparato alla morte. Per “preparazione” intendo il fatto di agire per tutta la vita in modo da potercene andare senza rimpianti quando viene l’ora della morte, con la certezza di avere attraversato questa vita nel modo migliore possibile, di avere “vissuto bene”, di aver condotto un’esistenza giusta, retta, buona; di essere stati, per quanto possibile, nel vero.

È terribile invece morire con il rimpianto di aver sprecato la propria vita.

Ogni mattina mi sveglio dicendomi che quella che ho davanti potrebbe essere la mia ultima giornata e dunque devo viverla nella piena consapevolezza, senza mai abdicare ai miei valori, quindi comportarmi nel modo migliore possibile, senza lasciarmi invadere da emozioni perturbatrici, per me o per gli altri, senza compiere atti che potrei rimpiangere.

Insomma, vivere la giornata in modo da potere, alla sera, addormentarmi con la coscienza a posto. Domani potrei anche non svegliarmi. Questo è il mio modo di integrare, nella vita, la dimensione della nostra finitezza. Così facendo, in fin dei conti, non è alla morte che mi preparo ogni giorno, ma alla vita.

F. LENOIR, Vivere è un’arte. Piccolo trattato di vita interiore, 2010, pp. 118-122

Frederic Lenoir, filosofo, sociologo e storico delle religioni francese, ha scritto libri di narrativa e di saggistica, tradotti in una trentina di lingue.

Lascia una Risposta








 Acconsento al trattamento dei miei dati personali (Regolamento 2016/679 - GDPR e d.lgs. n. 196 del 30/06/2003). Privacy Policy.

Il presente sito fa uso di cookie anche di terze parti. Si rinvia all'informativa estesa per ulteriori informazioni. La prosecuzione nella navigazione comporta l'accettazione dei cookie. Leggi di più

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi