Caro bollette, il governo prova a rimediare

Da Huffingtonpost.it

Subito, dove per subito si intende al massimo la settimana prossima, un intervento emergenziale per le famiglie che vivono in uno stato di disagio economico. Tra un mese, con la legge di bilancio, una misura strutturale per intervenire sui cosiddetti oneri di sistema, quella voce che nelle bollette della luce e del gas pesa in media intorno al 20% e che serve a sostenere le rinnovabili e la messa in sicurezza del nucleare. Eccolo lo schema che il Governo sta mettendo a punto in queste ore per provare a mitigare l’impatto del caro bollette che scatterà da ottobre. Ci lavorano il Tesoro e il ministero della Transizione ecologica, con un dato già acquisito: serve un mix di soluzioni, non una sola. Quella che al momento è fuori è il taglio dell’Iva: costa troppo, subito non si può fare. 

I dettagli sono in via di definizione, ma la strategia in due step spiega già molte cose. La prima è che il Governo ha deciso di tutelare immediatamente chi è più a rischio: un aumento delle bollette del 40%, che tradotto in soldi significa 400 euro in più per il gas e 100 euro in più per la luce all’anno, è insostenibile per i contribuenti con i redditi bassi. Già oggi ci sono più di 3 milioni di famiglie che ricorrono al bonus sociale per sostenere i costi. Sono le famiglie con un Isee sotto gli 8.265 euro (fino a 20mila euro se la famiglia ha almeno quattro figli a carico), ma anche quelle che beneficiano del reddito di cittadinanza e quelle che hanno uno o più componenti in condizioni di salute gravi, con apparecchiature mediche alimentate con l’energia elettrica. Senza questo bonus una famiglia di 1-2 componenti pagherebbe quest’anno 128 euro in più di luce. 

Il primo intervento a cui sta pensando l’esecutivo si colloca qui. Finirà, al più tardi la settimana prossima, dentro un decreto o in una norma da inserire in un provvedimento già all’esame del Parlamento. Gli aumenti scatteranno tra due settimane, oltre non si può andare. Lo strumento è in via di definizione, ma tra le ipotesi più accreditate ci sono il finanziamento del bonus sociale a carico delle casse pubbliche (oggi è uno degli oneri generali in bolletta) e l’allargamento della platea dei beneficiari dello stesso sussidio. Il principio politico che sta alla base di questo intervento, spiegano fonti di Governo, è quello dell’equità. Ma è altrettanto evidente che un intervento selettivo, riservato alle fasce più deboli, non chiude la questione del caro bollette dato che tutti gli altri, a partire dal ceto medio, resterebbero esposti all’aumento e dovrebbero quindi pagare una fattura più salata a partire dal prossimo mese. A luglio, con la bolletta elettrica lievitata del 9,9% e quella del gas del 15,3%, il Governo tirò fuori 1,2 miliardi per contenere l’aumento delle tariffe dell’energia elettrica: tutti i contribuenti pagarono di meno rispetto a quanto messo in conto prima dell’intervento. 

Se ora si sta valutando una misura selettiva è per almeno due ragioni. La prima è di natura economica: tirare fuori più soldi in fretta e furia, con una manovra in allestimento che è già prenotata da altre spese, è un’operazione complessa. Il tema delle bollette, che ha un forte impatto sociale e di consenso, può tranquillamente scardinare l’ordine delle priorità, ma resta sempre un problema e cioè la penuria di risorse. L’altra motivazione dell’intervento ristretto è legata alla prima: già i soldi sono pochi, se poi si vanno a togliere alla transizione energetica per destinarli alle bollette ci si trova di fronte a un cane che si morde la coda. Insomma l’Europa, e quindi anche l’Italia, vanno nella direzione politica ed economica (quest’ultima finanziata con il Recovery) di dipendere sempre meno dal carbone e dal gas e nei fatti si tolgono risorse alle rinnovabili. 

Funziona grosso modo così: un’impresa che decide di inquinare per portare avanti la sua produzione deve comprare un permesso che la autorizza a emettere CO2. Il tutto ha a che fare con un mercato europeo regolato dalle aste: i soldi vanno poi nelle casse dei singoli Paesi dell’Unione europea e di soldi ne sono arrivati parecchi quest’anno dato che sono aumentati i prezzi della CO2. L’obiettivo a livello comunitario è quello di disincentivare le imprese a inquinare, ma c’è anche l’altra faccia della medaglia. Si chiamano oneri di sistema complessivi: 14 miliardi quest’anno che saranno raccolti attraverso le bollette. Dodici di questi 14 miliardi servono a finanziare le spese per le rinnovabili. L’Autorità di regolazione per energia, reti e ambiente fa da contabile per tenere in equilibrio questo borsellino: deve cioè fare in modo che ci siano questi soldi per le rinnovabili e calibrare quindi il prelievo sulle bollette. 

L’equilibrio economico, ma anche politico, è precario perché se da una parte l’esigenza è abbassare il conto delle bollette, dall’altra è la transizione green a rimetterci. Se a luglio il Governo è riuscito a cavarsela con 1,2 miliardi, per calmierare gli aumenti di ottobre servono molti più soldi. Sarebbero sempre a carico della fiscalità generale, cioè delle casse dello Stato, e questo elemento completa il perché in un primo momento l’idea è di fermarsi a un intervento contingentato e di urgenza. Poi, con la manovra, l’ipotesi è di intervenire sugli oneri di sistema. L’Authority da tempo propone al Governo e al Parlamento di trasferire gli oneri generali di sistema alla fiscalità generale. In particolare per l’Autorità devono essere eliminati dalle bollette, e fin da subito, “gli oneri non connessi direttamente agli obiettivi dello sviluppo ambientalmente sostenibile e quelli finalizzati al contrasto della povertà energetica”. Ma l’operazione è tutt’altro che facile perché significa che lo Stato, in ultima istanza i cittadini, dovrebbe tirare fuori parecchi miliardi. 

Sempre la scarsità di risorse a disposizione impatta su un’altra soluzione che sicuramente non sarà contemplata nell’intervento della settimana prossima: il taglio dell’Iva. Oggi è pari al 10% per le utenze domestiche e al 22% per quelle non domestiche, anche se alcune attività hanno l’aliquota ridotta al 10 per cento. Al momento la linea che prevale nei due ministeri che stanno mettendo a punto lo schema è quella di non intervenire. Con buona pace di Matteo Salvini che ha alzato il telefono per chiamare il ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani e invitarlo (l’invito è stato rivolto anche a Mario Draghi) a “interventi per tagliare la parte di tasse che appesantisce le bollette” e azzerare gli aumenti delle bollette.

Tutti i partiti, dal Pd ai 5 stelle, con Giuseppe Conte che nel pomeriggio ha incontrato Cingolani dopo le polemiche sul nucleare, puntano al risultato massimo. Ma la più ampia questione di chi paga il “bagno di sangue” della transizione ecologica (copyright Cingolani) ha la traccia di un equilibrio che non significa però non intervenire. L’ha spiegato Draghi: “Vogliamo accelerare l’impegno di decarbonizzazione, ridurre le emissioni e puntare su tecnologie all’avanguardia come l’idrogeno. I tempi di questo processo devono essere ambiziosi, ma compatibili con le capacità di adattamento delle nostre economie. E lo Stato deve essere pronto ad aiutare cittadini e imprese nell’affrontare i costi di questa complessa trasformazione”. L’ha ribadito poco dopo Cingolani: “Il Governo è fortemente impegnato per la mitigazione dei costi delle bollette dovuti a queste congiunture internazionali e per fare in modo che la transizione verso le energie più sostenibili sia rapida e non penalizzi le famiglie”. È il realismo che si traduce in equilibrio. Forse non accontenterà tutti, ma è la strada maestra che il Governo ha scelto da tempo. Lontana dal “zero aumenti nelle bollette per tutti” che i partiti si affannano a rilanciare. 

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