Eugenio Scalfari incontra Mastroianni e Gassman

Dall’archivio di Repubblica. 

MASTROIANNI E GASSMAN LA GRANDE VECCHIAIA
A cura di Eugenio Scalfari

Mastroianni :” Io non sono timido e poi la professione che ho scelto non me l’ avrebbe consentito, ma di fronte agli attori o ai grandi cantanti divento improvvisamente impacciato, timidissimo e quasi vergognoso. Tra Paolo Villaggio e me c’ è una vecchia ‘ gag’ : lui sostiene che quando capita che ci s’ incontri in qualche aeroporto io lo guardo e non lo saluto; lui del resto fa altrettanto con me; nessuno ci ha mai presentati ‘ ufficialmente’ , perciò – timido lui e timidissimo io – continueremo a ignorarci a vicenda oppure, alla prossima occasione, per vincere la timidezza ci getteremo l’ uno nelle braccia dell’ altro. Con i registi invece e con i direttori d’ orchestra questo senso di estraneità e quasi di timore per il diverso non l’ ho mai sentito: essi fanno lo stesso mestiere che per tanti anni ho fatto anch’ io, quello di dirigere il lavoro degli altri e realizzare se stessi attraverso gli altri. Sono soprattutto curatori quando non addirittura possessori di anime, perciò con loro mi sento di famiglia, così è con Muti, così fu con Federico Fellini”
I lettori avranno capito da questa breve premessa caratterologica con quale ansia, appena celata dagli obblighi della professionalità, io attendessi d’ incontrarmi con due mostri sacri dello spettacolo: Vittorio Gassman e Marcello Mastroianni. Li avevo invitati qualche giorno fa in una saletta del Grand Hotel per una chiacchierata a tema libero che si sarebbe poi conclusa con una colazione. Tema libero fino a un certo punto: abbiamo tutti e tre circa la stessa età, una lunga vita alle spalle ricca di esperienze e anche di successo, molta vitalità ancora in serbo sia pure entro un orizzonte oggettivamente delimitato. C’erano dunque numerose motivazioni per incontrarsi, parlare, conoscersi. Così li ho aspettati con una certa trepidazione mentre la fotografa aveva già disposto le luci e l’operatore aveva predisposto i registratori per riprendere il nostro dialogo. Dopo qualche minuto è arrivato Mastroianni e poi, a breve distanza, Gassman. Saluti, calorosa stretta di mano, finta disinvoltura, almeno da parte mia, loro mi sembravano perfettamente a proprio agio. Non ci eravamo mai incontrati anche se loro sapevano parecchio di me e io quasi tutto di loro, i film che avevano fatto, le ‘ pièce’ teatrali che avevano interpretato, i grandi amori, le fugaci avventure, le pieghe del volto, i timbri della voce. Com’ è un attore nella vita? Somiglia a qualcuno dei suoi personaggi o a nessuno? Riflette su se stesso e sul suo lavoro oppure, toltosi il trucco e il costume, ridiventa uno di noi, una persona qualsiasi, anonima e non riconoscibile? Io non so se anche a voi capita ciò che capita a me, ma quando incontro casualmente un militare che ho visto cento volte in divisa e che d’improvviso mi appare in abiti borghesi, stento a riconoscerlo e la stessa difficoltà mi si presenta se m’ imbatto nel cameriere che mi serve nel mio ristorante abituale o nel barbiere che mi taglia i capelli da una vita: usciti dal ruolo e dagli abiti del ruolo diventano altrettanti ignoti mai visti, mai sentiti. E’ così anche di fronte a un attore quando non calca il palcoscenico e non stia recitando? MASTROIANNI era sbucato nella saletta dove l’ aspettavo da un breve corridoio; camminava a piccoli passi con le spalle leggermente curve; portava occhiali cerchiati di tartaruga, era visibilmente dimagrito e invecchiato. Ma invecchiato rispetto a quando? Ho visto moltissimi film di Mastroianni, anche recenti, ma l’ immagine che conservo di lui nella memoria è quella del protagonista della ‘ Dolce vita’ e di ‘ Otto e mezzo’ , un bel giovane un po’ svagato, un po’ ingenuo e anche abbastanza ambiguo, idolo delle donne e – caso rarissimo – non antipatico agli uomini. Ebbene, di fronte a quell’ immagine di trenta e più anni fa il tempo ha ovviamente lavorato duro e si vede. Poco dopo, a passi lunghi, spalle erette, era entrato Gassman: magro anche lui ma atletico, la faccia solcata da cento rughe sottili come quelle della mela renetta quando è al colmo della maturità e fa presagire da quella rugosità la fragranza della polpa e del succo. Ma gli occhi erano appena più spiritati del necessario, quasi che si guardassero intorno col timore di scoprire qualcosa d’ imprevisto, un pericolo, una presenza inquietante, un mistero rischioso. “Vedete” dissi io dopo i convenevoli di rito “in tre superiamo i due secoli”. Sorrisero ma non raccolsero l’argomento. Cominciarono a parlare tra loro di amici comuni e di comuni progetti come se s’ incontrassero casualmente in un bar e non invece in un luogo scelto apposta per esaminare un tema che stava a cuore a ciascuno di noi. Ma quel tema, la vecchiaia, il tempo, la memoria, non avevano alcuna voglia d’affrontarlo anche se era lì davanti a noi con tutto il suo peso e la sua incombenza. Ci giravano intorno, lo smitizzavano, lo sdrammatizzavano. Così hanno continuato a fare per tutte le tre ore che abbiamo trascorso insieme. DOMANDO: “Quand’ è che avete deciso di essere vecchi?”. Mastroianni: “Deciso? Quella cosa non si decide, t’ arriva addosso e quando nemmeno te l’ aspetti. A un certo punto ti cominciano a chiamare maestro. Maestro di che? dico io. E mi rispondono: è per rispetto. Maestra sarà tua sorella mi verrebbe da ribattere, ma capisci che è successo qualche cosa, che qualche cosa è cambiata. Sarà qualche rotellina dell’ ingranaggio che non funziona più come un tempo, sarà una piega della bocca, una ruga in mezzo alla fronte, non so: un modo diverso di guardare le donne, più dolce, meno aggressivo”. Gassman: “Hai fatto caso, Marcello, che dopo esser sempre stato per tanti anni il più giovane della compagnia, a un certo punto, in sei mesi, diventi improvvisamente il più vecchio? E capisci che da quel momento in poi sarà sempre così, sarai il più vecchio, ti guarderanno con rispetto se ti va bene e se i giovani che ti frequentano sono bene educati, oppure con una certa compassione, con un sentimento anche protettivo, con la voglia di mandarti a letto presto per paura che ti stanchi o magari perché sono loro a essersi stancati di te. Caro mio, per questo cominciano a chiamarti maestro”. “Hai ragione, è così. Le donne poi, lo capisci subito, diventano subito materne”. “E’ un vantaggio qualche volta”. “Non dico di no, non dico di no. Quand’ ero giovane giocavo a fare il bambino ma poi era facile far venir fuori un amante pieno di fuoco; adesso sono loro a volerti cullare e tu alla fine ti addormenti felice, magari con qualche rimpianto. Non so se siano felici anche loro…”. “Perfino i figli hanno un atteggiamento un po’ protettivo”. “Mia figlia a Parigi quando attraversiamo la strada mi prende per mano…”. “Certe volte il rispetto che sento intorno a me mi sembra oltraggioso”. Domando: “Voi adesso recitate spesso la parte del vecchio. La pièce teatrale che lei, Mastroianni, interpreta in queste settimane è tutta su questo tema: un padre che viene ricoverato dal figlio in una casa di riposo, un padre orgoglioso, capriccioso e anche un po’ cattivo…”. “Un padre, dica pure, disperato. Ma vede: la prima volta che ho recitato quella parte allo Stabile di Trieste, mi sono addirittura truccato da vecchio, mi sono imbiancato i capelli, ho approfondito le rughe. La seconda volta mi sono detto: ma che diavolo fai? Ti trucchi da vecchio? Hai 72 anni, non hai nessun bisogno di truccarti per essere verosimile. Ecco”. “Questo vuol dire che non ti sentivi vecchio”. “Appunto, Vittorio, non mi ci sentivo ma lo ero”. “E lei, Gassman? Nel film di Scola, ‘ La famiglia’ anche lei interpreta la parte del vecchio bizzoso e immalinconito quanto mai. Che effetto le faceva immedesimarsi in quel ruolo?”. “Nessun effetto particolare. Vede, per un attore il ruolo fa parte del mestiere: ci si entra e poi se ne esce con naturalezza”. “Bravo Vittorio, è proprio così. A me dà un fastidio quella storia degli attori che studiano la parte per mesi per entrare nel personaggio, calarcisi dentro, si ritirano per un tempo infinito magari in un convento, ingrassano o dimagriscono per star meglio nella parte e poi, a lavoro finito, hanno bisogno di altri mesi di decompressione per dimenticarsene, per tornare se stessi. De Niro per esempio: questa storia di vivere il personaggio fino in fondo è diventata una favola e ci fanno anche sopra un mucchio di quattrini. Io non lo so, a me non capita. Recito, mi studio il copione per un paio di giorni e poi finisce lì. Vittorio mi ricordo ancora quando facevi Amleto: ‘ Essere, non essere’ con quella tua voce grave, un po’ sognante; poi quando tornavi dietro le quinte dicevi all’ elettricista: ‘ Ahò, quelle luci, ma nun lo vedi che fanno schifo?’ “. “Gassman, lei è d’accordo? Si entra e si esce dal personaggio come si beve un bicchier d’ acqua?”. “Le parrà strano ma è proprio così, è così anche per me. Vede, l’ attore è come una scatola vuota e più vuota è meglio è; interpreta un personaggio e la scatola si riempie, poi il lavoro finisce e la scatola si svuota. Mi hanno raccontato che una volta Gary Cooper ancora ragazzo guardava fisso davanti a sé in silenzio. La mamma gli domandò: che pensi? Rispose: non penso assolutamente a nulla. E la mamma: allora sarai un buon attore. Vede, l’ attore non dev’essere particolarmente colto e nemmeno particolarmente intelligente; dev’ essere – forse – anche un po’ idiota. Sì, sì, se fosse anzi completamente idiota sarebbe un grandissimo attore…”. Vedo che ormai le parole gli hanno preso la mano, vedo che sta recitando e la sua platea siamo io, la fotografa, l’ operatore della registrazione, la segretaria che ci assiste e, naturalmente, Mastroianni. Credo che lui si sia accorto di questi miei pensieri, infatti cala immediatamente il tono, esce dalla parte e dal paradosso, ma insiste nel punto di vista. “Prenda un’attrice, una grande attrice che tutti noi abbiamo apprezzato quanto meritava: la Morelli. Era perfetta è vero, Marcello?”. “Perfetta, finissima, mai un tono sbagliato, mai un registro fuori fase”. “E com’ era la Morelli fuori dal lavoro? Dillo, Marcello”. “Una cretina. Cioè, scusa, una scatola vuota come dicevi tu, come siamo tutti noi”. “Via, non posso credere che diciate sul serio. O state giocando a prendermi in giro? Lei, Gassman, ha recitato un repertorio classico dei più impegnativi, personaggi enormi, alle prese col fato, col divino, coi miti, con i mostri, con la tragedia. Queste cose non si fanno se si è una scatola vuota, queste cose lasciano il segno”. “Non dimentichi che c’ è un’ altra parte di me che non somiglia in nulla anzi è l’ opposto del repertorio che lei ha ricordato: i miei film con Risi, con Monicelli, la commedia italiana. Molti critici hanno detto che quella è stata la parte migliore della mia arte, se posso usare questa parola. Vede allora? Lì di tragico non c’ è niente, c’ è il riso, la leggerezza, l’ ironia…”. “C’ è la condizione umana”. “Ah, questo è vero, c’ è la condizione umana che è sempre tragica. E’ questo che lei voleva intendere?” “Sì, è questo”. “Ma è sempre anche ludica”. “Vittorio ha ragione. Il nostro, di attori, è soprattutto un gioco. Vede del resto come si dice in altre lingue: in francese si dice: ‘ jouer’ , in inglese ‘ play’ , gioco, giocare. Questo è il teatro, che sia commedia o sia tragedia o sia cinema, sempre gioco”. “Anche la vita è gioco”. “Io ne sono convinto”. “Dunque la vita è teatro?”. “Per molti aspetti credo di sì”. “Dunque siamo tutti mascherati?”. “Finché giochiamo a quel gioco, certamente siamo mascherati ma poi, quando ci togliamo la maschera…”. “Allora?”. “Allora non c’ è niente. L’ identità di un attore è molto labile”. “Marcello ha ragione. Al punto che anche alcune malattie psicologiche delle quali parecchi di noi soffrono, come per esempio la depressione, derivano almeno in parte dal mestiere che facciamo. La dissociazione della personalità, alcuni aspetti di schizofrenia quasi. Lei prima sembrava non credere ai miei giudizi sulla Morelli; allora le racconterò quello che Zacconi pensava della Duse. Gli domandammo una volta, noi giovani: maestro, com’ era la Duse? E lui cominciò alzando le braccia al cielo, inarcando le sopracciglia, con quella sua voce roca, profonda, oh, la Duse – diceva – la Duse, la Duse, e ogni volta quel nome, quelle due sillabe venivano proferite con accenti diversi, toni diversi, ammirativi, esaltati, commossi, devoti. Poi si fermò, fece una pausa. Si guardò intorno fissandoci uno alla volta. E poi disse: la Duse, grandissima, la più grande. Non capiva niente, assolutamente niente”. “E lui, Zacconi, capiva? Recitava Socrate e capiva?”. “Che c’ era da capire? Le risulta che Zacconi avesse assimilato la lezione di Socrate? Che fosse un socratico? Un grandissimo attore, Zacconi, come Ruggeri, un altro grandissimo e finissimo attore. Ma non capivano niente. Quello che recitavano era la lettura di un copione”. “Mi lascerete dire, almeno, che voi siete assai più ricchi di molti comuni mortali. Non capirete niente, accetto il paradosso, ma vivete e avete vissuto molte vite, se non altro le vite dei vostri personaggi: una possibilità riservata a pochissimi”. Mastroianni: “Senta, se questo è un privilegio lo condividiamo con moltissimi altri. Per cominciare, con voi giornalisti: anche voi in qualche modo vivete le vite della gente di cui raccontate i fatti e interpretate i pensieri. Con i romanzieri. Con gli autori di cinema e di teatro. Ma diciamo pure con tutte le persone, con tutti i viventi. Siamo tutti dotati di fantasia, tutti ci figuriamo delle storie delle quali siamo protagonisti, delle passioni che in realtà non abbiamo, coltiviamo illusioni inesistenti. Se questo è vivere molte vite le dico che non è un privilegio degli attori. La verità è che la vita, quella vera, è molto breve”. “Lei trova?”. “Sì, trovo. Uno ricorda ancora i discorsi dei genitori, il beato periodo dell’ infanzia come fosse ieri e adesso si accorge come il tempo sia volato. La barba è diventata bianca non è vero? Ma lasciate decidere a me quand’ è che deve diventare bianca…”. “Quanto hai ragione Marcello. Io lo dico sempre: l’ unica cosa che rimprovero al Padre Eterno, sul quale ho idee confuse ma tendo a credere ci sia, è che ci ha dato una vita troppo corta e troppo unica. Ecco, io avrei chiesto almeno due vite”. “Due ma conservando memoria della precedente”. “Ma certo, Marcello, sennò che vantaggio ci sarebbe? Ecco, io vorrei questa cosa qua”. “Sì. A volte mi dicono: guarda che ci saranno tra poco scoperte della scienza che allungano la vita. Del resto si è già allungata e di parecchio. Lo sarà ancora di più. Ma a me questi discorsi mi consolano assai poco. Intanto queste scoperte chi lo sa quando verranno. E poi trenta, cinquant’ anni di più…”. “Sarebbe tale e quale come adesso, passerebbero in un baleno”. “Comunque, anche un allungamento mi rincuorerebbe: mi irrita molto l’ idea di dover scomparire, non avendo poi una fede che mi sostenga. Anche così, mezzo acciaccato come sono, preferirei stare qui ancora per un po’ , anzi per un bel po’ “. “Mentre parlavate della brevità della vita mi veniva in mente questa domanda: il mestiere dell’ attore vi consente una certa ubiquità; oggi siete questo, domani siete quello. L’ ubiquità è uno degli attributi della divinità. L’ attore non cerca in questo modo di rubare agli dei uno dei loro attributi?”. Mastroianni: “Questo che lei dice può essere vero per qualche grande regista, non per un attore anche se eccellente. Il regista vive tutti i suoi personaggi e tutti insieme. Io ricordo come lavorava Fellini. Era fantastico: ballava, piangeva, rideva, dava voce all’ innamorata, al seduttore, alla puttana, si buttava per terra, mimava tutto e tutti. Mentre lavorava avevi l’ impressione che fosse un dio nel senso che creava. Visconti era la stessa cosa anche se i suoi metodi erano diversi”. “E Strehler, Marcello?”. “L’ ho conosciuto poco”. “Ah, Strehler, fantastico, attore nato, anche lui. Ma un uomo da far paura. Una volta, tanti anni fa, venne a Roma con Paolo Grassi a propormi un triunvirato per guidare insieme il Piccolo di Milano. Era molto allettante la proposta e io ci pensai per due giorni, poi andai da Grassi e dissi ‘ grazie no’ . Dissi: Paolo, quell’ uomo è un fenomeno ma mi fa paura, mi stanco solo a vederlo lavorare. Meglio di no”. “Io conosco poco Strehler, in compenso ho conosciuto molto De Sica, ho fatto molti film con lui, un altro creatore, un altro uomo di spettacolo eccezionale. Non capisco come mai non sia ancora stato fatto un film con un protagonista che sia la mescolanza di Rossellini, De Sica e Fellini. Nessuno ci ha ancora pensato, come mai?”. “Ti ricordi come trattava i bambini nei suoi film? Ce ne sono sempre stati molti e lo adoravano. Sa perché? Perché lui con loro era molto severo, li trattava come adulti e questo a loro piaceva molto. Una volta uno di loro sbagliò la battuta e De Sica si arrabbiò anche perché era la quinta o sesta volta che gliela faceva ripetere. Allora lo chiamò come faceva lui, prima il cognome e poi il nome dandogli del voi: ‘ Gerolimoni Giuseppe, voi siete la più grande testa di cazzo di tutto il Napoletano’ . Da allora il piccolo Gerolimoni si sarebbe buttato nel fuoco per lui”. “E Sophia? Mastroianni, e Sophia?”. “Splendida attrice”. “Solo questo? Glielo chiedo, mi scusi, lei è stato il nostro seduttore nazionale”. “Ma per carità; se c’ è un ruolo che non è stato il mio è proprio quello”. “Senta, non lo dico io e non ripeto nemmeno un luogo comune. Sono stato anch’ io molto amico di Fellini e Fellini a lei l’ ha conosciuto profondamente. Federico ha sempre parlato di lei come di un seduttore nato”. “Perché il vero seduttore era lui e lui adorava vivere per interposta persona. Una di queste interposte persone sono stato io, così lui mi prestava capacità e attitudini che non avevo affatto”. “Marcello, però non fare la mammola adesso”. “Non parlare tu della seduzione, tu ce l’ hai nell’ anima”. “Posso chiedere a tutti e due che definizione dareste dell’ amore?”. AH, l’ amore! L’ amore! L’ Amore! mi sarei aspettato che rispondessero tutti e due magari solo con quella parola declinata in tanti diversi accenti. In fondo sono stati tra quelli per i quali centinaia di migliaia di donne hanno spasimato sia pure vedendoli soltanto sulla pellicola e col cerone sul viso. Invece no, si sono bloccati tutti e due e mi hanno rimandato la palla. L’ Amore? (con la maiuscola) ‘ Connais pas’ . Gassman: “Credo nell’ amore, è una delle forze che sostengono il mondo e lo fanno muovere: l’ amore verso i figli, verso i genitori, verso gli amici, verso le donne che hanno contato nella tua vita”. “Così come lo descrive è un sentimento cosmico, ma io le chiedevo una definizione più precisa, un rapporto di coppia uomo-donna come lei l’ ha vissuto”. “Ho sempre desiderato avere un rapporto sereno, cosa non facile perché richiede che ciascuno dei due superi in qualche modo se stesso e si metta nei panni dell’ altro, lo accetti, lo comprenda. Adesso finalmente, ma già da trent’ anni, quel rapporto ce l’ ho, è un rapporto paritario, litighiamo spesso, ma questo non fa che cementare e rendere più solido quel rapporto”. Mastroianni: “Se lei vuole sapere che cosa penso dell’ amore-passione debbo deluderla: lo conosco poco. Qualche volta ho creduto di provarlo, ma vai a sapere se invece non era la mia sofferenza dovuta al fatto di essermi sentito scartato…”. “Lei mi sta dicendo che ha sentito amore solo quando è finito male, quando è stato lasciato?”. “Ho sentito sofferenza. In quale altro modo si sente la passione? Quando si soffre per colpa sua. Se tutto va bene si costruisce quel rapporto sereno di cui parlava Vittorio ma quello io lo definirei piuttosto affetto, voler bene, stima, sostegno reciproco: sentimenti molto profondi che possono anche durare una vita intera ma che non chiamo con la parola amore”. Gassman (interrompendolo e come recitando): “Lungamente Eros mi ha guardato coi suoi occhi lunghi, in me è solitudine e io nel mio letto resto sola…”. “Saffo”. “Appunto”. “E quando si sentiva scartato, Mastroianni?”. “Soffrivo, gliel’ ho detto. Una volta, quando me lo disse così, all’ improvviso, aprendomi la porta di casa, caddi addirittura per terra svenuto”. “Faye Dunaway?” “Lasci stare, non importa, è passato tanto tempo. Ma poi mi sono detto: meno male che è andata così”. “Non sarà che l’ uomo, essendo di solito molto Narciso, non riesca a uscire da sé e a darsi? Non è questo che rende difficile amare?”. Gassman: “Credo che lei abbia ragione, ma questa condizione non riguarda solo l’ uomo, anche la donna può essere narcisa, anzi a volte lo è assai più dell’ uomo. Però la mia esperienza – amore a parte – mi fa concludere che la donna è molto superiore a noi: intanto è più forte fisicamente e poi è più intelligente, più sensibile, più capace di affetto e di amore. Secondo me le donne dovrebbero governare e il mondo andrebbe assai meglio”. “Quelle che hanno governato però erano più uomini in gonnella che donne; pensi alla Thatcher o a Golda Meir”. “Ma io parlo di donne che governino da donne”. “Vi interessa la politica?” Mastroianni: “Pochissimo. Vorrei naturalmente che fossimo governati bene. Amo la libertà e non tollererei che venisse limitata e compressa”. Gassman: “Non mi appassiona affatto. Detesto quei partiti che ti vengono a cercare per mettere in lista un nome famoso. Lo trovo diseducativo”. “Molti nomi famosi, come dice lei, abboccano con la scusa di rappresentare la società civile”. “Fanno malissimo, rappresentano solo la loro vanità. Anch’ io una volta ci cascai e il seduttore in quel caso fu Craxi ma poi mi accorsi rapidamente a quale gioco voleva giocare e chiusi”. “Torno ancora un momento sull’ amore, mi ero scordato una domanda forse assai banale, anzi non è nemmeno una domanda ma una constatazione: voi avete avuto tutti e due molte donne nel corso della vita” restano muti e guardinghi. Poi Gassman la butta sul ridere: “Lei pensa: attori di successo, tutte le donne addosso, e invece sa chi scopa molto? Gli aiuti operatori”. Mastroianni: “Verissimo. E i fotografi. I fotografi scopano in continuazione perché lei, l’ attrice, conosce qual è il potere dell’ immagine” e ridono tutti e due come ragazzi, le rughe si spianano, il peso degli anni sembra per un momento scomparire. “Volevo chiedere: avendo avuto molte donne avrete dunque avuto anche molte rotture. Siete dunque capaci di rompere un rapporto con facilità?”. Mastroianni: “Per carità. Il mio caso poi è addirittura proverbiale. Se fosse per me non romperei mai con nessuno e mi porterei tutto appresso”. “Vuole dire tutte?”. “Sì, tutte”. “Questo vuol dire anche vivere in un mare di bugie”. “Un oceano di bugie. Dette naturalmente a fin di bene”. “Che vuol dire a fin di bene?”. “Vuol dire che io penso: senza di me lei vivrà male, non sarà abbastanza amata e protetta come da me; quindi è mio dovere preservare questo rapporto a qualunque costo per amor suo”. Gassman: “Marcello, questa è un’ altra bugia”. “E tu non conosci il problema?”. “Certo che lo conosco, più o meno come te. Anche per me le rotture sono state difficili, difficilissime, ho sempre cercato che fosse lei a rompere, ti dà meno responsabilità, meno complessi di colpa. Vede (rivolto a me) siamo tutti divorati dai complessi di colpa, quello è il vero guaio della vita. Se potessimo vivere con innocenza…”. Mastroianni: “E a lungo…”. Gassman: “Magari istituendo una casa di riposo per vecchi attori e vecchi registi, per chiacchierare un po’ tra noi…”. “Per giocare tra noi al gioco dell’ attore, del regista, di quelli che sanno rompere perché vorrebbero sempre tutto, perché vogliono a tutti i costi restare bambini…”. “E chi invitereste in quella casa di riposo? Chi sono i vostri amici e i vostri modelli?”. Gassman: “Vivi e morti?”. “Ma sì, vivi e morti”. “Be’ , comincerei da De Sica, chi meglio di lui per giocare? Maestro nel non rompere mai con nessuno”. “E Federico. Altro maestro nel volere e tenere tutto”. “Vorrei John Barrymore, attore mitico, superbo. Charles Laughton. Laurence Olivier…”. “E una spolverata di Cary Grant, Gary Cooper, Clark Gable…”. “E Gabin”. “E Montgomery Clift”. “Brando lo vorreste?”. “Meglio no, è una casa di riposo”. “E De Niro?”. “No, per le stesse ragioni”. “E Sordi?”. “Sordi sì, certamente, ma credo che non verrebbe lui. Sa che qualche cosa di simile l’ abbiamo già fatta? Una volta alla settimana ci riuniamo a colazione in una saletta d’ un ristorante romano, una decina di amici per stare allegri insieme. L’ altra settimana si è aperta la porta e ha messo la testa dentro Mario Monicelli (80 anni suonati) ci ha guardato uno per uno e ha detto ‘ tutti vecchi’ ha richiuso e se n’ è andato”. “Progetti per il futuro?”. “Vogliamo fare un film insieme tratto da un romanzo di Arpino, dove ci sono due personaggi che sembrano tagliati su misura per noi due. Le sembra una buona idea?”. “Mi sembra eccellente. Posso farvi un’ ultima domanda? Qual è il lato migliore della vecchiaia?”.risponde Mastroianni per tutti e due mentre l’ altro annuisce: “Essere finalmente liberi. Liberi di dire e di fare tutto, tanto nessuno ci può togliere più niente”. “E i complessi di colpa? Quelli, se ancora ci sono, limiteranno la vostra libertà”. Gassman: “Mi creda, quando si diventa veramente vecchi i complessi di colpa se ne sono già andati. Anzi, la loro scomparsa è il vero segnale che la vecchiaia è cominciata”.

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