La trasmissione orale della memoria

A cura di Sergio Proia. 

La trasmissione orale della memoria, patrimonio condiviso e fonte di ricerca.

La trasmissione orale della memoria si va perdendo perché non trova nella scrittura il mezzo per poter restare viva nel tempo ma è molto importante perché ci permette di conoscere meglio le proprie origini e di amare le propria storia.

“Un popolo che non ha la conoscenza della propria storia, della propria origine e della propria cultura è come un albero senza radici”.
(Marcus Garvey1887- 1940 sindacalista e scrittore giamaicano)

“E se l’avvenire dell’albero e il suo progresso verso l’alto sono sopra la terra, le radici sono sotto la terra. E ciò significa che l’avvenire è alimentato dal passato. Guai a coloro che non coltivano il ricordo del passato: sono gente che seminano non sulla terra ma sul cemento.”
(Giovanni Guareschi1908 -1968 scrittore, giornalista e umorista)
Guareschi era affascinato sia dalla sacralità della tradizione come dall’emozione del nuovo che avanzava.

Noi abbiamo un passato millenario che chiede di essere scoperto, valorizzato e reso fruibile. La riscoperta del patrimonio culturale è possibile solo se una comunità sente “proprio” quel patrimonio; se lo custodisce, lo rende luogo di manifestazione identitaria della comunità.
Troppo spesso la nostra società ha avuto un rapporto controverso con i propri beni culturali e storico-artistici e non è consapevole della ricchezza e delle potenzialità che possono offrire le risorse ereditate dal passato come riflesso ed espressione dei propri valori e delle proprie tradizioni.
Conoscere, registrare, preservare e condividere il nostro passato può portare innumerevoli benefici ai singoli, alle famiglie e a intere società e può contribuire a sviluppare un forte senso di chi siamo veramente, della nostra profonda essenza.
La ricerca della memoria trasmessa oralmente è necessaria perchè è parte integrante di un patrimonio condiviso che altrimenti resterebbe ignoto. La forma prevalente in cui si trasmette è senz’altro la forma dialettale.
Il dialetto rappresenta un particolare sistema linguistico, non scritto, che esiste in un ambito geografico limitato e che rappresenta le specificità del territorio meglio della lingua nazionale.
Il dialetto, come “lingua locale e popolare” riproduce e riporta in vita termini che si sono sovrapposti in un’area geografica, nel corso dei secoli, a causa della presenza di culture e civiltà diverse. A volte è molto difficile, se non impossibile, rendere in italiano alcuni termini dialettali e, ad ogni modo, la loro traduzione non rende appieno il significato originale del termine.
Secondo Pier Paolo Pasolini “l’intraducibilità è sempre stata la passione dei poeti dialettali” – dove con “intraducibilità” s’intende sia la mancanza di un corrispettivo italiano, sia il valore onomatopeico del suono originario” e che: “Il contadino che parla il suo dialetto è padrone di tutta la sua realtà”.
“La verginità del dialetto, con quanto di equivoco può in essa sussistere, correda subito di una ragione poetica … gli oggetti che semplicemente vengono. […]….si potrebbe dire che la poesia dialettale è un paesaggio notturno colpito a un tratto dalla luce. Per quanto mediocre essa sia … pone sempre di fronte a un fatto compiuto, con tutta la fisicità di una nuvola o di un geranio”.
E ancora, a proposito del poeta dialettale, che: “la sua più grande ambizione è quella di annullarsi nell’anonimia, farsi inconscio demiurgo di un genio popolare della sua città o del suo paese, portavoce di una assoluta allegria locale”.
Il dialetto “è la lingua che non mente” capace di cogliere la vera condizione psicologica di un popolo e l’intimo spirito dei tempi, attraverso la riscoperta delle testimonianze della cultura orale.
Nella ricerca della trasmissione orale mi è parsa particolarmente interessante e significativa la scoperta della ritualità della religiosità popolare che si esprime attraverso la recitazione di preghiere e giaculatorie, strettamente dialettali ed espressive, recitate da anziane donne particolarmente devote e tramandate oralmente alle generazioni successive. Eccone alcuni esempi:

Addumàn m’arrìzz ciètt,
vàd alla Mèssa alla Nunziàta
i c’ncòntr la Maddalèna,
ave Maria gratia plena,
i c’ncontr Giesù Crìst
ch’ c’ièva n’Curgfìss,
i lù sàng ch’ c’iscièva,
la Madonna l’ r’saglièva.
Bella, bella chèlla màdr’ benedetta
ch’ mantè la casa nètta,
casa nètta, casa lavàta,
la Madonna sciè lavdàta.

Madònna mia ’lla Còsta,
fa l’ Gràzi’e d’ nascòsta,
fammènn’ una a mè,
ca pur’ i’e so figli’e a tè.

Madònna mìa de Lòr’,
viècc’ tu quànn ì me mòr,
n’c’e mannà chigli’ù brutt’òm,
ca s’ tògl’ l’an’ma mìa,
viècc’ tu Madònna mìa.

Il dialetto di Fontana Liri riflette il succedersi di diverse culture che, in commistione tra loro, hanno causato diverse modifiche nei termini e nelle intonazioni. In origine era predominante l’ influenza culturale e linguistica latina. Successivamente le invasioni barbariche hanno determinato dapprima un’influenza germanico – longobarda e, in seguito, sveva. Infine hanno contribuito a definire le modifiche del dialetto locale elementi linguistici francesi e spagnoli, dovute alle influenze angioine, aragonesi, borboniche e napoleoniche. Per questo motivo le derivazioni dal latino, dal francese e dallo spagnolo sono comuni e riconoscibili.
Ne costituiscono un significativo esempio i termini:
“cica”, dal latino “ciccum” che significa “poco”.
“ntramiént’e”, dal latino “intra-momentum” che significa “nel frattempo”.
“itèrza”, dal latino “iterum terzium die” che significa “l’altro ieri”.
“ p’scrà”, dal latino “post cras” che significa “dopodomani”.
“all’antrasàtta”, dal latino “intra res acta” che significa “all’improvviso”.
“servétta”, dal francese “serviètte” che significa “tovagliolo”.
“flòsc’e”, dallo spagnolo “flojo” che significa “molle, cascante”.
A questo punto, a proposito di amore per la propria terra, il proprio passato, la propria storia, ritengo particolarmente significativo un componimento dialettale scritto da me qualche anno fa.
Si tratta di Arturo, il mio compagno di banco di prima elementare che un giorno, all’improvviso, mi disse che il giorno dopo sarebbe andato via, sarebbe emigrato all’estero con la propria famiglia, per motivi di lavoro. Non l’ho più rivisto ma il suo ricordo resta sempre vivo in me, nonostante da quel momento siano trascorsi circa sessant’anni e ciò mi ha spinto ad amare ancora di più la mia terra, dalla quale non ho mai voluto distaccarmi, nonostante avessi avuto tantissime buone occasioni per andare via. Arturo rappresenta l’amore per il proprio paese ed il sogno di tutti gli emigranti, che è quello di ritornare a “casa”.
Artùr
Currìv p’gli camp, saltav’ gli mutùn,
er’n àt tièmp, arrìmm vagliùn,
n’ iòrn “ m’ n’ vad”, m’ d’cist,
m’ lassast’ nu pupàzz i t’ n’ ist.
N’ t’ sò vìst cchiù, chi sà addò stà,
Chi sà quann’ r’viè a glì Nannà.
Da ndànn’ sò decìs, m’ stòng iècc.
M’ manch’n le fratt’, le vrùtt, le prêt,
la gent, gli pariènt, le stràd’,
gliù sciùm, gliù rì, le cuntràd’
gli rùschi’e, gli fùgn, le inèstr,
la fòssa a gliù mònt, la fùntana dell’ uòr,
gliù lag ch’puzza, la curva d’lla ròzza,
la piazza, gli pùzz, la pìzza, gli fiùr,
gliù migli’e, le scal’, le chiès, gli mùr,
gliù tièmp,l’acqua, gliù sol’, gli camp.
Artù, m’ d’spiac’ ca tu n’ c’e si pùta stà,
i stù paès’e n’ gli pòzz lassà.

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