Di Michele Serra
Riparte la solfa dei “giudici comunisti” che mettono il bastone tra le ruote dei valorosi governanti di destra. Spiace che il suo ultimo interprete, il Salvini, a dispetto del vantato staff mediatico, si presenti sulla scena con un’inquadratura che lo fa sembrare un pallone da rugby. Il Berlusca, almeno, aveva cura della messa in onda.
È una solfa, questa dei giudici comunisti, che ormai ha trent’anni (il brevetto, si sa, è di Berlusconi) e se ha retto per così tanto tempo significa che i suoi interpreti ci credono davvero. Quello che non capiscono – oppure, se lo capiscono, non hanno il coraggio di dirlo – è che sono le leggi di questa Repubblica a stabilire alcuni vincoli sociali, e alcuni limiti di potere, che sono oggettivamente di ostacolo all’idea del demiurgo che risolve i problemi per sua sola volontà. E dunque, a impicciare, non sono i giudici, sono le leggi, a partire dalla Costituzione sulla quale hanno sbadatamente giurato personaggi che sicuramente non l’hanno letta, e se l’hanno letta non l’hanno capita.
Certo non dev’essere facile prendere atto che l’attuale assetto istituzionale osta alla realizzazione di un regime populista che, tra il Capo e il Popolo, non prevede frapposizioni. Il premierato, insomma. Non dev’essere nemmeno facile dire a chiare lettere che l’attuale assetto della Repubblica non garba alla destra al governo; che vorrebbe sovvertirlo; che le stesse ambizioni in campo culturale (“adesso cambia tutto”) sono mature anche in campo istituzionale: fine della Repubblica antifascista, nascita della Repubblica Populista.
Forse sono ipocriti. O hanno paura di dirla tutta. Al Quirinale, per adesso, c’è chi sulla Costituzione non transige. Ed è anche colui che presiede la magistratura.
Michele Serra