La Spagna da fanalino di coda a nuova locomotiva europea
A cinquant’anni dalla fine della brutale dittatura di Francisco Franco, la Spagna stupisce l’Europa. Da fanalino di coda a nuova locomotiva del Continente, Madrid ha compiuto una trasformazione inattesa. E lo ha fatto adottando politiche economiche che vanno in direzione opposta rispetto a quelle decise a Bruxelles. Subito dopo gli anni del Covid-19, mentre la Germania è entrata in crisi con la fine del suo modello economico basato sull’importazione di gas a poco prezzo dalla Russia e le esportazioni di auto in Cina, la Spagna è cresciuta tra il doppio e il triplo fra i Paesi europei, con un incremento medio del 3 per cento. Rispetto all’Italia, che sembra avere smarrito la ricetta per produrre ricchezza, l’anno scorso è cresciuta cinque volte più velocemente. Questo tasso di sviluppo ha permesso al Paese di abbattere l’indebitamento drasticamente, passando da un rapporto debito/Pil del 119 per cento nel 2020 al 102 per cento dell’anno scorso. Secondo il Fondo monetario internazionale potrebbe ridursi alle due cifre entro la fine del decennio. Non solo. Nel 2024 il Pil pro capite spagnolo ha raggiunto il 92 per cento della media europea, chiaro segno di convergenza dopo la crisi dell’euro. La distanza tra la Spagna odierna e quella di quindici anni fa è abissale. Allora il Paese era devastato dal crollo del prezzo degli immobili e da una sistematica crisi bancaria, scosso da colossali manifestazioni di protesta contro la povertà e sorpreso dalla nascita di Podemos, il partito della sinistra antagonista fondato da Pablo Iglesias, poi approdato al governo, dove ha perso la sua carica radicale e la sua identità originaria.Oggi la Spagna è in pieno boom industriale, turistico e tecnologico.
L’articolo completo di Federica Bianchi sul nuovo numero de L’Espresso
