Cesare Pascarella

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Cesare Pascarella nacque a Roma il 28 aprile 1858 in via dei Portoghesi, da genitori di Fontana Liri, città situata in Ciociaria. Scrittore e artista, fece parte (con il soprannome di “Scimpanzé”, per l’agilità nel salto) anche di un folto e notissimo gruppo di artisti che negli anni ’80 dell’Ottocento intendeva ridare slancio alle arti, alle lettere ed al giornalismo: denominato “I XXV della campagna romana”, il gruppo fu attivo tra il 1904 ed il 1930, quando fu sciolto dal regime fascista.

Il Pascarella viaggiò in Ciociaria diverse volte. Gli appunti del viaggio che fece tra il 1882 ed il 1883 (I ricordi di Ciociaria, Capitan Fracassa, 1883), confluirono dapprima nel “Viaggio in Ciociaria. Avventure e aneddoti illustrati dall’Autore” per la Casa Editrice Bideri (Napoli, 1914), e poi in una rielaborazione del testo per la Casa Editrice S.T.E.N. (Torino, 1920), nell’interno del volume Prose (1880-1890).

Vi proponiamo di seguito la prima stesura, di IN CIOCIARIA, Prose (1880-1890), S.T.E.N., Torino, 1920

Sullo spiazzo, dietro la stazione di Ceprano, un legno a cui erano attaccati tre cavalli scheletriti, flagellati da nugoli di tafani, stava ad arroventarsi al sole; il vetturino, un tipo selvaggio, dalla faccia annerita, dormiva sopra un mucchio di fieno, poco lungi, e russava profondamente. Altri legni per andare a Fontanaliri non v’erano. Mi avvicinai al vetturino e tentai di svegliarlo. Era di sonno duro. Allora una contadina, che stava, poco lungi, seduta, si alzò, e avvicinatasi al dormiente gli applicò due calci ove finiva la sua schiena, gridandogli: — Arrizzate, Ciccantò’, ca s’è fatto juorno!

Ciccantonio, si alzò stropicciandosi gli occhi e la schiena e facendo brillare al sole, sul collo nero, una filza di medaglie; mi salutò con un: ben arrivato a signoria! e incominciò subito a decantarmi la comodità della sua carrozza, la bontà de’ suoi cavalli e la sua grannissima abbeletà nel condurli. Io, poco persuaso della verità di tante lodi, accennai qualche dubbio, ma egli ribattè: — Lei, signoria, non indubiti: saglìte e sarete insoddisfatto. — Ed io convintissimo di quanto egli asseriva, comperai quattro arance da una bella ragazza, che vendeva anche ciambelle, vino e frutta, e salii nel legno ponendomi la valigia fra i piedi.

Ciccantonio saltò in cassetta, tempestò di frustate i cavalli, che non volevano muovere il primo passo, sfilò una corona di bestemmie di tutte le qualità e dimensioni, e allora le rozze si mossero finalmente, e giù di trotto per la via bianca e polverosa di Ceprano.

Bel tipo il mio vetturino! Egli bestemmia come un turco, dico come un turco perché si dice così, ma io non credo che i turchi siano giunti a tanta perfezione, e a ogni chiesuola che incontra, a ogni croce che vede, si toglie il cappello, sul quale tiene legata una immagine sacra e grida: — Madonna aiutece!

Lungo la via, ove, di tratto in tratto, dalle siepi, bianche di polvere, sbucano branchi di gallinacci, condotti da qualche fanciulla alla pastura, incontriamo contadini sui somari che vanno al molino, mezzadri che portano ad abbeverare le vacche, e lunghe file di donne che scendono verso Ceprano, recando in testa pesanti canestre ricolme di ortaglie.

Mi tornano alla memoria li pupazzi der presepio. Quando ci fermiamo davanti alle prime case di Ceprano, Ciccantonio s’accosta allo sportello della vettura e col cappello in mano, mi dice: — Simmai lei nun s’incommoda, metto lu belancino. — E quanto ci vorrà a mettere questo bilancino? — Quanto piace a signoria! — mi risponde Ciccantonio, come un cortigiano antico. — Alla mia signoria piace che tu tra un’ora ti trovi qui col bilancino. — Servo a signoria! — replica il vetturino inchinandosi; e dati a reggere i cavalli a un ragazzetto, si allontana fischiando.

Io per non saper che altro fare, comincio a girandolare per le vie di Ceprano, seguito da uno sciame di ragazzi gialli e verdi per la febbre malarica, credo, e qualcuno forse anche per la fame.

Su la piazza, fuori della Porta, vi trovai il mercato. Le venditrici di ortaglie e di frutta, di grano, di pane, di ciambelle, di stoviglie di creta e d’altri utensili famigliari erano disposte in lunghe file. Io mi addentrai tra quelle file, e ammirai gruppi di donne veramente stupendi. Finalmente, rimasto abbagliato dai colori vivaci delle vesti, dei busti, e degli scialli smaglianti al sole, sul fondo grigio de monti lontani, entrai in una modesta trattoria ove per pochi soldi, mangiai una buona bistecca e molte frutta così belle, fresche e saporite che le nipoti di Atlante me le avrebbero invidiate. Poi seguendo una strada lunga e polverosa, dopo di aver salutato il nome di Dante Alighieri che si leggeva scritto vistosamente su l’angolo di un vicolo, ov’era men che notte e men che giorno, pervenni in fondo al paese e sboccai in una piazza piena di sole e di mucchi di canapa ove sorge la cattedrale dedicata a Sant’Arduino.

Più innanzi trovai un piccolo ponte di ferro che serve a traversare il Liri, le cui acque allora scarseggiavano. Su la ghiaia lunghe file di contadine cantando canzoni piene di malinconia battevano la canapa. Il paesaggio lieto di sole, le donne che lavavano e maciullavano la canapa, i canti pieni di malinconia mi risvegliarono gl’istinti poetici, tanto che non potendo più frenarmi, scesi giù sulla sponda lirica e mi accinsi a scrivere una medesima; ma avevo appena cavato di tasca il taccuino, quando sentii gridare: — Signoria! Signoria! — Alzai la testa e vidi Ciccantonio che su dal ponte mi faceva cenno di risalire. Guardai l’orologio. In luogo di un’ora, senz’accorgermene, girando qua e là, ne avevo perdute due.

Risalito sul ponte, egli mi disse subito ch’era stato sin allora a cercarmi per tutta Ceprano; che era tardi, che le salite da superare per andare a Fontanaliri erano molte e che bisognava partire senza indugio. Il legno era pronto. Innanzi ai tre cavalli era stato attaccato il bilancino, un misero cavalluccio bianco, pieno di gobbe e di piaghe e con la testa ornata da un pennacchio di penne di cappone.

Rientrai nella vettura, e, dopo le solite frustate e le solite bestemmie, i cavalli partirono al trotto.

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