Post di Gianni Cuperlo

Post su Facebook di Gianni Cuperlo. 

Ieri sera in uno studio tivù un bravo giornalista come Francesco Verderami ha fatto notare a noialtri della politica il silenzio colpevole che in questa campagna elettorale sembra occultare il tema decisivo del gas e della guerra (avendo ben chiaro il legame stretto tra le due cose).

Aveva ragione, non tanto nel giudizio sulla rimozione dell’emergenza (per chi abbia tempo e voglia nel programma del Pd sul punto si avanzano proposte dettagliate sia sul fronte del fabbisogno energetico che del sostegno ai costi impennati delle bollette per famiglie e imprese), dicevo che al netto della rimozione la critica era giusta nel denunciare un eccessivo silenzio sul problema.

Ora che (sediovuole) la parabola di liste e collegi passa al vaglio delle urne, alcune parole in più credo anch’io sia giusto dirle.

Nel rispondere a Verderami ho ricordato come proprio ieri mattina il suo giornale (Corriere della Sera) riportasse in una serie di boxini le denunce di imprenditori molto più che piegati dall’aumento del prezzo del gas. In particolare una industria della ceramica (330 giorni annuali di produzione a ciclo continuo nelle 24 ore) pagava un anno fa per la fornitura di gas metano una bolletta mensile di 240mila euro arrivata quest’anno a 2 milioni di euro.

L’esempio colpisce per l’ordine di grandezza, ma è utile anche per considerare in una logica di scala quale potrebbe essere il costo da sostenere per imprese (e famiglie) di qualsiasi dimensione.

Stamane sul nodo torna con la solita lucidità l’editoriale domenicale del direttore de “La Stampa”, Massimo Giannini.

Raccogliendo le analisi di esperti del ramo la tesi (allarmante) è che la “guerra del gas” il Cremlino nei fatti l’abbia già vinta. Putin può a piacimento e secondo la tattica più conveniente aprire o chiudere il rubinetto del Nord Stream Uno.

Le sanzioni, per quanto severe, non paiono in grado di spingere la popolazione russa a quella soglia di esasperazione e risentimento verso la dittatura interna che qualcuno aveva ipotizzato (ammesso che le sanzioni economiche contro i civili abbiano mai prodotto un esito di quel tipo).

L’aumento del prezzo del gas di un altro 10 per cento negli ultimi due giorni mette ancora più a rischio interi settori produttivi (i più energivori): ceramica come detto, vetro, carta. Parliamo di incrementi delle bollette dal 340 all’890 per cento.

Il governo è intervenuto con gli ultimi due decreti aiuti (il secondo ne ha provocato l’assurda caduta) per una cifra prossima ai 33 miliardi, ma tra un mese andranno a scadenza sia il taglio delle accise sui carburanti che il credito d’imposta sugli acquisti di energia industriale.

Di certo abbiamo agito sul fronte degli stoccaggi (quello del metano sarebbe al 70 per cento) e nei mesi scorsi si sono stretti accordi con i paesi africani (Algeria, Tunisia, Congo) che hanno reso possibile il quasi dimezzamento della nostra dipendenza dal gas russo.

Il punto strategico è che qualunque argine o soluzione della emergenza (leggi rinnovabili, del nucleare di nuova generazione manco a parlarne) esige tempi di sviluppo che non sono propriamente immediati.

Ecco allora che la pressione sull’Europa per un tetto concordato al prezzo del gas diventa una questione molto più che urgente e a fronte della resistenza tedesca la figura di Draghi aveva una autorevolezza e credibilità certamente preziosa in un passaggio così complicato.

Ma questa è anche una delle ragioni che dovrebbe indurre gli elettori (compresi i moderati e le forze produttive del Paese) a riflettere seriamente su chi dopo il 26 settembre è più attrezzato (come schieramento e classe dirigente) a presidiare e preservare quegli interessi (nostri e non solo) ai tavoli di Bruxelles.

Per il resto (le cose da fare nell’immediato) vi rimando alla parte dettagliata del nostro programma.

Per il resto (inteso come la polemica di queste ore, comprese le vicende del Pd) ci torniamo sopra a breve.

Buona domenica e un abbraccio

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