100 anni di Gassman

Dal profilo Facebook di Gerry Guida. 

Il 1° settembre del 1922 nasceva Vittorio Gassman, il “Mattatore” per antonomasia. Per ricordarlo, mi piace postare per le amiche e gli amici di FB la parte finale del mio saggio “Vittorio Gassman: da Amleto a Bruno Cortona” (privo in questo caso dei corsivi e delle note dell’edizione stampata) che compare tra i contributi al bel volume “Il sorpasso” (2022) curato dagli amici Gerry Guida e Fabio Melelli, per i tipi di “Artdigiland” dell’amica editrice Silvia Tarquini.

“Per quanto riguarda il cinema, negli anni che ci separano da Il sorpasso, dopo aver partecipato all’Audace colpo dei soliti ignoti, séguito del film di Monicelli diretto da Nanni Loy, nel 1960 fu protagonista de Il mattatore diretto da Dino Risi, il quale, dopo il successo de I tromboni e quello televisivo dell’omonimo programma, realizzò un film a sketch che in parte conservava lo spirito e il senso delle operazioni precedenti, giocati, però, in una cifra essenzialmente farsesca, dando libero sfogo al fregolismo e al travestitismo dell’attore che si faceva ammirare per il suo virtuosismo trasformistico. Dopo aver partecipato ad alcuni film che, pur diretti da registi importanti come Antonio Pietrangeli (Fantasmi a Roma, 1960) o da “mostri sacri” come Vittorio De Sica (Il giudizio universale, 1961) e Roberto Rossellini (Anima nera, 1962), erano tutt’altro che dei capolavori, tornò a recitare con Risi nel ’62, prima ne La marcia su Roma insieme all’amico Ugo Tognazzi e poi ne Il sorpasso che segnò, come già inizialmente dichiarato, la sua consacrazione professionale definitiva come interprete cinematografico. Scrive puntualmente Giacomo Gambetti: <<La maturazione d’attore cinematografico avviene in maniera compiuta, come per una sorta di riconoscimento “obiettivamente” definito e da tutti accettato, con Il sorpasso (1962), quando il suo personaggio acquista finalmente la figura, gli abiti, i toni della “normalità”. Non più manichino arido e “bruto” come nella prima fase, non più macchinetta un po’ ottusa come nella seconda, ma finalmente uomo “quotidianamente” prevedibile e possibile, in una normale frequentazione. E col Sorpasso è la prima volta che Gassman tocca con mano la complessità e la globalità definitive del suo modo di essere anche un vero e compiuto e bravo attore cinematografico, indipendentemente dal trucco e dal ricorso pur nobilissimo alla caratterizzazione>> .
Il Vittorio Gassman che, a detta di Risi, sembrava incedere sul set come se camminasse sui coturni, diventerà, con Sordi, Tognazzi e Manfredi, uno dei quattro colonnelli della commedia all’italiana, in particolare quella dei film di Monicelli, Risi e Scola, che furono i registi fondamentali nella definizione e consacrazione del Gassman attore cinematografico.
Se Mario Monicelli fu per lui una sorta di padre, Dino Risi fu come un fratello . Fu lui il primo a puntare sulla sua capacità di attore cinematografico capace anche di divertire lo spettatore, liberandolo dalla maschera espressionistica, dal camuffamento quasi caricaturale operato da Monicelli, riconsegnandogli la sua faccia e la sua figura, senza schermi né travestimenti. E non solo: Risi ha insegnato a Gassman che nel cinema la recitazione è la non-recitazione. Bisogna dimenticare le tecniche recitative proprie del teatro, gli artifici utilizzati per comunicare con lo spettatore dal palcoscenico e abbandonarsi a una sorta di oblio carico di memoria inconscia, esserci e basta davanti alla macchina da presa, farsi trovare pronti nell’attimo stabilito dal regista, superando tutte le difficoltà e gli ostacoli che il set comporta, cercando di ottenere la maggiore “naturalezza” possibile. Naturalezza che per Gassman fu una vera e propria conquista. Con queste precise parole, l’attore riconosce l’importanza dell’esperienza artistica vissuta nel film e grazie al film: << Lì credo di aver raggiunto il massimo della naturalezza possibile (possibile per me, sia chiaro). Ed è un buon risultato, a conti fatti, perché si trattava di raggiungere la naturalezza in qualcosa che per me non era, e non è, naturale. Il mio carattere mi avrebbe portato a recitare assai più facilmente il personaggio che ha fatto Trintignant. Quell’aggressività totalmente disinibita e gaia che aveva il mio ho dovuto proprio inventarmela di sana pianta (e, nello stesso tempo, mascherare che si trattava di una costruzione). Io non sono un attore di mimesi immediata, come sono, per esempio, un Sordi, o un Tognazzi. Il procedimento che ho adoperato (parlo della costruzione del personaggio, non della recitazione) è stato sempre, tutto sommato, di indole teatrale; ogni tanto però mi è riuscito di usare la tecnica giusta per un mezzo diverso. Mi è riuscito nel Sorpasso, e credo in Profumo di donna, fatto sempre con Risi>> .
Gassman non seguiva i dettami del metodo Stanislavskij, ripreso poi nel suo nucleo sostanziale da Lee Strasberg nell’Actors Studio, la sua era una recitazione non immedesimata che da “apollinea”, tutta tecnica e controllo razionale, col tempo era divenuta più “dionisiaca”, dando maggiore spazio alle emozioni e alla “corporeità”. Il fatto che il personaggio di Bruno Cortona, questa figura di quarantenne affamato di vita, simpatico fanfarone, fragoroso e vitalistico, che correva spericolatamente lungo la strada delle vacanze da Roma a Castiglioncello sulla sua rombante Lancia Aurelia, avido di consumare beni ed esperienze, di godere di nuove smemoranti avventure (e che rappresentava l’icona simbolica dell’italiano uscito dalla “grande trasformazione”, immerso nell’ottimismo posticcio del Boom) fosse distante anni luce dall’uomo Gassman, la cui timidezza e la cui riservatezza erano ben conosciute , consentì all’attore Gassman di operare una costruzione artistica talmente efficace e rigorosa da far sì che essa diventasse la “cifra” di diverse altre figure da lui interpretate in seguito, in grado di far credere agli spettatori che i personaggi costituissero un tutt’uno con la personalità reale del suo interprete. In realtà, Gassman aveva da tempo intenzione di interpretare in teatro il personaggio del Fanfaron (questo è il titolo con cui Il sorpasso venne distribuito in Francia) o più precisamente del “Soldato fanfarone”, se è vero che, intorno al ’61, agli albori scintillanti del suo Teatro Popolare Italiano, chiese a Pier Paolo Pasolini una traslazione del Miles gloriosus di Plauto in romanesco, anche se poi il progetto non si realizzò e Il vantone venne messo in scena nel novembre del 1963 dalla “Compagnia dei Quattro”, con la regia di Franco Enriquez.
Memorabile, dunque, e irripetibile la figura del “fanfarone” sfrenatamente gaudente costruita da Vittorio Gassman, anche se, osservando attentamente alcune sequenze del film, il velo di malinconia che a tratti, inopinatamente, si palesa nello sguardo di Bruno Cortona fa intravedere un segnale inquietante e perturbante della “perdita” e della “crisi” incombenti.”

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