La strana sconfitta del Pd

Da unoetre.it
I giornali sono pieni di dati, di calcoli e di analisi sul voto di domenica. Denominatori comuni: vittoria di Fd’I, sconfitta della Lega e del Pd, vittoria del M5s, tenuta di FI, risultato mediocre di Azione/Italia viva. Questo almeno il messaggio prevalente, confermato dalle dichiarazioni dei principali leader. L’unico però a coprirsi il capo di cenere, fin dalla notata di domenica sera (dichiarazioni di Serracchiani), confermate con tono mesto-professorale il giorno dopo da Enrico Letta, è stato il Pd. È giustificato questo mea culpa, questo invito all’ennesimo severo esame dei propri sbagli? In parte sì, ma per tutt’altri motivi.

Scorrendo le percentuali del voto alla Camera il Pd ha perso, rispetto al 2018, da uno a due punti in otto circoscrizioni, ha guadagnato da uno o due punti in dieci ed è rimasto stabile (+/- 1) nelle altre.. Alla coalizione di centrosinistra è andata anche meglio: rispetto al 2018 ha guadagnato in 21 circoscrizioni, con il massimo Sardegna (+ 9 punti), in Campania 1 (+ 7 punti), in Liguria e in Puglia (+ 6 punti); ha perso drammaticamente sono in Trentino-Alto Adige (- 17,3 punti) e pareggiato (+/- 1) in cinque altre circoscrizioni. I dati del senato sono più o meno gli stessi. La conferma, ovviamente viene dal voto a livello nazionale in cui il Pd ottiene in queste elezioni il 19,1 % di consensi alla Camera e il 19 % al Senato, rispetto al 18,76 (Camera) e 19,14 (Senato) del 2018.

Rispetto a questi risultati, non brillanti ma neppure deprimenti del Pd, che in ogni caso dimostrano una buona tenuta del partito e dello schieramento di centrosinistra, c’è stato ovviamente l’exploit di Fd’I, il dimezzamento di Lega e M5s, il quasi dimezzamento di FI e la performance al di sotto delle (loro) aspettative di Azione-Italia viva. Cosa ha determinato allora la vittoria del centrodestra e del partito di Giorgia Meloni? Con tutta evidenza e salvo ulteriori verifiche dei flussi, c’è stato un travaso di voti dalla Lega a Fd’I che è diventato così il primo partito e del M5s al centrodestra che è diventato così il primo schieramento. L’alleanza di centrodestra nei collegi uninominali ha fatto il resto ingigantendo la vittoria. Qualche voto del M5s è arrivato al Pd che ne ha invece persi verso la neonata formazione di Azione-Iv.

Continuando a guardare i risultati circoscrizione per circoscrizione, allora sì che c’è da deprimersi. Se il Pd si fosse presentato come “campo largo” con M5s e Azione-Italia viva la coalizione avrebbe ottenuto il 50-57 per cento dei consensi in 14 circoscrizioni, il 40-45 per cento in altre 9, stando sotto il 40 per cento soltanto in 4; con il che avrebbe ottenuto la maggioranza assoluta dei seggi sia nel proporzionale che nell’uninominale. Libro dei sogni? Sì, certamente, ma sono dati che ci dicono che le elezioni di domenica non sono state “perse” a causa della cattiva performance del Pd e degli altri alleati di centrosinistra, ma dal mancato allargamento dell’alleanza a M5s e a Calenda/Renzi.
Ad un osservatore da Marte la cosa dovrebbe apparire bizzarra: dopotutto il Pd aveva governato con il M5s nei tre anni precedenti, mentre Calenda era stato parlamentare e ministro del Pd e Renzi ne era stato il segretario e presidente del consiglio.

EnricoLetta 390 minSi dirà: sì, ma dopo il tradimento dei 5s che avevano fatto cadere il governo Draghi nessuna alleanza era possibile. E perché? Non è che non si sapesse che il partito di Conte e Grillo (o Grillo e Conte) scalpitava per uscire dalla maggioranza da almeno un anno, né che Conte non avesse mai mandato giù il fatto che Renzi prima, poi tutto il Pd, l’avessero mandato a casa per sostituirlo con Draghi. La rottura dei 5s sicuramente era prevedibile su vari temi (reddito di cittadinanza, Ucraina….) e anche per motivi, criticabili quanto si vuole ma non spregevoli, di visibilità dello stesso Conte per salvare se stesso e il suo partito.

Ma diamine!, se era stato possibile tessere un’alleanza con un partito che usciva fresco fresco dal sodalizio populista-autoritario con la Lega, che fino al giorno prima aveva lanciato accuse infamanti contro il Pd (“partito di Bibbiano”), non si poteva ricucire non dico un’alleanza, ma un accordo elettorale (come è stato fatto con Sinistra italiana-Verdi)? soprattutto dopo tre anni di convivenza negli stessi governi (Conte 2, Draghi), anni in cui lo stesso Conte era stato “premiato” per la sua abiura della Lega prima con la presidenza del consiglio e poi addirittura insignito del titolo di “federatore del centrosinistra” (copyright Zingaretti)? L’osservatore da Marte stenterebbe a capirlo.

Per i rapporti con Calenda-Renzi la questione è più complessa. C’è stato un voltafaccia da parte di Calenda dopo che un accordo era stato concluso? Sembrerebbe di sì. Forse però non è stato fatto tutto quello che si doveva o poteva fare per non perdere quel pacchetto di consensi – li si chiamino pure liberal-democratici o tecnocratici – che pure provenivano dal Pd e in ogni caso da diversi decenni ci era stato spiegato dovevano far parte di un Pd a vocazione maggioritaria (copyright di Veltroni). Invece, anche in questo caso ha prevalso la reazione umorale: certamente da parte delle due “primedonne” di Azione-Italia viva, ma anche da parte di una fetta consistente del Pd (dirigenti e militanti) che hanno fatto prevalere sul calcolo dell’interesse politico il fastidio e l’acrimonia nei confronti del loro ex segretario e del loro ex ministro, entrambi oramai considerati traditori passati al campo nemico.

Ora, non c’è dubbio che la politica è fatta da uomini e donne e entrambi non sono immuni da personalismi e ripicche, ma escludendo l’indegnità morale – che qui non mi sembra sia in questione — bisognerebbe fare prevalere il calcolo del proprio interesse e – se davvero ci si teneva, se davvero si era convinti dell’ “allarme democratico” — del paese.
Ma i giochi sono fatti, la roulette ha girato e ognuno si è portato a casa le proprie fiches, fino alla prossima partita. Resta solo da dire che il Pd non è stato sconfitto e neppure il centrosinistra. È stata sconfitta una politica delle alleanze improvvida e permalosa, fatta di fughe in avanti, di recriminazioni umorali e di porte sbattute. Bisognerà rifletterci, ma non troppo, perché la prossima partita sarà tra sei mesi.

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