Non condivido una parola del discorso di Meloni ma almeno è tornata la politica

Da tpi.it

A cura di Luca Telese
Ci si può rallegrare per il discorso della Meloni anche se non se ne condividono i contenuti perché chi ama la politica, a destra o a sinistra, saluta in questo discorso proprio il ritorno della politica
Ho appena finito di litigare con un carissimo amico che mi ha rimproverato per aver definito “Un discorsone!” il primo intervento di Giorgia Meloni da presidente del Consiglio. Pochi minuti prima avevo discusso in tv con Antonio Caprarica da Myrta Merlino, su La7, perché l’ex corrispondente della Rai osservava indispettito: “E le coperture economiche dove sono? Questo è un discorso fatto solo di chiacchiere e ideologia”.

Il mio amico (e collega), invece mi diceva, con una punta di sconcerto: “Dunque tu sei d’accordo con lei?”. Come se improvvisamente avesse scoperto in quel mio riconoscimento di valore un problema di merito, una quinta colonna infiltrata in seno al popolo. In realtà è vero il contrario: si può rallegrarsi per il discorso della Meloni anche se non se ne condividono (in parte o del tutto) i contenuti. Si può rallegrarsi di uno stile, di una “visione”, di un senso della leadership della e della storia che mancavano da anni, e che era stato totalmente abraso nell’unanimismo falso della stagione draghiana. Di una visione, cioè, che ovviamente é mancata in tutte le stagioni dei governi tecnici, con i loro discorsi fitti di retorica, di elenchi, di numerini vuoti (e di fallimenti occultati).
E il punto mi pare che sia questo: chi ama la politica, a destra o a sinistra, saluta in questo discorso il ritorno della politica, del senso di un progetto, della prima persona singolare come luogo della responsabilità di chi governa. Nel discorso della Meloni torna l’io (non narcisistico) di chi si prende la responsabilità, e non l’impersonale di chi la elude. Il peso della scelta, dunque, non la leggerezza di chi impone, usando il pretesto dell’ineluttabilità. Quando la nuova presidente del Consiglio dice che è disposta a perdere voti. Quando racconta la sua biografia, il suo essere “come dicono i britannici underdog”, ovvero non predestinata e non sostenuta da amicizie, lobbies o protettori.

Forse c’è anche qualcosa di generazionale in questo racconto di se stessa, tant’è vero che la faccia di Antonio Tajani, al suo fianco, mentre sentiva queste parole, era a metà tra il contrito e l’esterrefatto. E che metà del suo governo di reclicati del Berlusconi uno fatica a capire (prevarranno loro o lei?). Certo Giorgia Meloni ha mentito, almeno due volte: quando ha detto – ad esempio – che la sinistra ha liberalizzato la Cannabis: una cosa che non è mai accaduta (e oserei dire purtroppo). Oppure quando ha detto, con tono solenne: “Non ho mai provato simpatia o vicinanza per alcun regime, fascismo compreso”.
Tutti sappiamo che non è vero, perché tutti abbiamo visto (anche di recente) il video di lei ragazza quando sosteneva (a 18 anni): “Mussolini è stato il miglior politico che l’Italia abbia avuto”. Ma spiegare un lungo processo di elaborazione sarebbe stato complesso (soprattutto per le cancellerie) questa non-verità è la sintesi di un intento lodevole: un modo per allontanarsi, e non per restare vicini. E, quindi, da questo punto di vista bene così.
Tutto il resto del discorso è ambizioso, non privo di elusioni, fitto di prese di posizione identitarie (ad esempio quella contro il reddito) e di costose promesse che andranno messe alla prova (ad esempio gli asili aperti fino alla chiusura dei negozi, magari). Oppure di affermazioni conflittuali di cui dovrà essere misurata la prevalenza (con lo Stato o con i privati?). Questa Meloni di Montecitorio tende ad essere inclusivo quando parla del passato, “Nilde” (Iotti) e “Tina” (Anselmi), “Maria Grazia (Cutuli), e identitaria quando parla del passato. Cita il Comunista “Pio La Torre” fra gli eroi antimafia. Ma non vede la ricchezza del nemico nel presente. Cita i giovani di destra uccisi a colpi di chiave inglese (Sergio Rampelli) ma al contrario di Ignazio La Russa, pur riprendendo il filo di un discorso di pacificazione, non cita (neanche simbolicamente) un ragazzo rosso caduto.

E – infine – la Meloni ricorda come sorella l’unica garibaldina donna, ma non cita mai la Resistenza, sottointendendola inclusa nei valori della Repubblica (sottoscritti con il suo giuramento di lealtà istituzionale). Parla di altre cose molto importanti senza citarle. Cancella la riforma Fornero (anche per i più giovani) senza spiegare ancora come (quello sì che sarebbe un costo strutturale enorme), e spiega che intende mettere in campo politiche espansive (senza fare debito) non con i tagli ma aumentando il Pil (e se il Pil non salisse?).

Parla (sacrosanto) della proprietà pubblica delle reti e (addirittura della nuvola) ma non entra in una tema divisivo come le concessioni balneari e le licenze. Ma il punto, in questo tratteggio di un profilo inedito di “destra sociale” è un altro. Qui c’è tutto quello che mancava a Draghi: il carisma, il senso della responsabilità e del mandato elettivo, il carisma (negarlo é solo sciocco), e anche la capacità di spiegare ai cittadini cosa si fa e perché. A me piace anche n altro elemento che ha sconvolto il mio amico: il suo rivisitare di venire da una cultura minoritaria, la sua confessione sulla potenziale simpatia (in nome di questa storia di opposizione) “per chi inevitabilmente mi contesterà”.

Il fatto che questo discorso non sia incardinato nei miei valori non significa che non abbia dei valori. E il fatto che sia un discorso di valori è un ritorno di fiamma positivo per tutta la politica. “Il discorsone” di oggi serve anche alla sinistra perché traccia una linea: il leader che vorrà batterla non avrà più scorciatoie. Dovrà partire da qui – se vuole vincere – e costruire un racconto antitetico a quello della Meloni, ma anche speculare, nell’ambizione e nella responsabilità. Basta con “lo vuole l’Europa”. Basta con gli “abbiamo le mani legate” (di verdoniana memoria).

Le agende, tanto per dire, dovranno restare in cartoleria. I “migliori” dovranno riflettere sui danni che hanno fatto. Gli ideologi che (purtroppo anche a sinistra) hanno esaltato i tecnici dovranno chiedersi come mai ogni volta che ha governato un tecnico sostenuto dalla sinistra (Ciampi-Berlusconi, Monti, Grillo-Lega, Draghi-Meloni), come mai dopo queste infusioni di scienza e saggezza, alla fine, dopo di loro, abbia vinto sempre la Destra. Il ritorno della politica, quindi, è l’unica speranza che la sinistra può avere se vuole risorgere. Ed è il valore comune che può unire tutti gli italiani. Io non sono Giorgia. Ma vorrei tanto che chi lanci la sfida parta da questo livello.

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