Frosinone capoluogo…a tavolino

Articolo a cura del giornalista Vittorio Macioce

Frosinone non nacque “città”, nacque “provincia”.
È una capitale inventata, una di quelle scelte di geografia amministrativa che non rispecchiano la memoria ma la convenienza.
Arpino era la patria di Cicerone, Cassino quella di Benedetto e della sua abbazia, Sora aveva una storia autonoma e un’identità nobile, di confine.
Frosinone invece era un piccolo centro agricolo, cresciuto lungo la via Casilina, a metà strada tra Roma e Napoli.
Non aveva monumenti né eroi, ma aveva una posizione: comoda, baricentrica, neutra.
E in Italia — soprattutto nell’Italia post-unitaria — è la neutralità che spesso diventa potere.
Quando nel 1927 il regime fascista decise di creare nuove province per meglio controllare il territorio e rafforzare l’organizzazione amministrativa, serviva un punto di equilibrio tra le aree dell’antico Lazio meridionale e quelle già campane, tra la Ciociaria e la parte alta del Casertano.
Si trattava di “tagliare” pezzi da altre province — Roma, Caserta, Terra di Lavoro — e costruire un nuovo confine.
Arpino era troppo piccola, troppo nobile, troppo legata al suo passato per rappresentare il nuovo.
Cassino, che allora si chiamava ancora San Germano, era una città forte ma troppo meridionale, troppo vicina a Napoli.
Sora aveva una sua dinastia industriale e culturale, ma non un’infrastruttura di collegamenti adeguata.

Frosinone invece era lì, al centro, lungo la ferrovia Roma–Napoli e la Casilina.
Era una stazione, e le stazioni, nell’Italia del Novecento, contavano più delle cattedrali.
Aveva spazio per costruire uffici, caserme, tribunali, senza dover negoziare con antiche famiglie o campanili rivali.
Era una tela bianca, e per questo venne scelta come capoluogo. Si potrebbe dire che Frosinone è figlia dello Stato moderno più che della Storia.
Una città amministrativa, cresciuta per decreto, che ha costruito la sua identità dopo la sua funzione.
Il paradosso è che, col tempo, è riuscita a diventare davvero il centro naturale di un territorio che prima non aveva una capitale.
Gli altri paesi restarono orgogliosi di se stessi, Arpino con la sua romanità, Cassino con la sua spiritualità, Sora con la sua borghesia e le sue industrie — ma Frosinone si prese il potere silenzioso dei timbri e dei documenti.
È la città dove si decide, più che quella che si racconta. In fondo, è una lezione tutta italiana: la storia non basta per fare capitale.
Servono strade, uffici, compromessi.
Arpino aveva il genio, Cassino la fede, Sora l’ambizione, ma Frosinone aveva la burocrazia e la burocrazia, nel Novecento, valeva più di una battaglia vinta.

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