QUI ABITAVA FANTOZZI, RAGIONIER UGO

Presa dal web, post di un anonimo

QUI ABITAVA FANTOZZI, RAGIONIER UGO

A volte capita di compiere gesti senza senso. Di rendersene conto intendo dire, ma di farli ugualmente.

Così stasera ho preso la mia bici e sono tornato a Testaccio. A cercare un indirizzo preciso, via Giovanni Battista Bodoni. Numero 79.

È uno di quegli edifici in cui si riconosce Roma, quanto Villa Borghese. L’altra Roma, quella dove la gente vive davvero.

Ogni volta che li visito mi stupiscono anche se non c’è quella vertigine di scalinate di Palazzo Barberini. Se non ci sono affreschi sui soffitti o Caravaggio appesi alle pareti.

Sono edifici squadrati, a volte perfino senza colore, perché ci sono cose più importanti in una casa delle facciate colorate.

E invece delle bandiere a sventolare sulle facciate hanno abiti stesi, lenzuola e tovaglie a quadretti svolazzanti.

Ma se superi l’ingresso – non un cancello imponente, ma un battente cigolante di ferro battuto – entri in un mondo. Decine e decine di finestre, spente o accese, illuminate dalla luce azzurrina delle TV. E poi un giardino, comune, di tutti. Perfino mio che sono un estraneo e passo di lì per caso.

Così puoi sederti su una panchina – ce n’è sempre una – e, senza che nessuno ti dica niente, startene mezz’ora a guardare.

Che cosa? La vita. Ditemi se è poco: osservare le ombre dietro i vetri, ascoltare frammenti di discorsi, di liti, colpi di tosse di vecchi un po’ sfiniti, magari ansimi di giovani che invece energie ne hanno da vendere. E il bello è come, nel teatro del cortile, tutto sta insieme in una specie di concerto.

Ne ho visti tanti di palazzi così. Ma questo è diverso.

“Scusi è qui che abitava Fantozzi?”, mi azzardo infine a chiedere a una coppia di mezza età che rientra dopo una serata in trattoria o chissà dove.

“Sì, abitava là, terzo piano, scala B, mi pare”.

Non si stupiscono neanche un po’ che a mezzanotte un tizio si presenti per cercare la casa di una persona che non esiste.

Strano, pensavo di trovarci qualcosa, magari una lapide tipo: qui visse Ugo Fantozzi, personaggio immaginario.

Oppure, chissà, il nome su un citofono. I romani hanno quella capacità di confondere realtà e fantasia.

E invece niente.

Ma è lì che vivevano il ragioniere Ugo, la Signora Pina e la povera Mariangela.

“Sa, mi dice l’inquilino con la moglie sottobraccio, un po’ di tempo fa sono venuti qui perfino due giapponesi a chiedermi se questa fosse la casa di Fantozzi”.

Dunque Fantozzi è arrivato perfino laggiù, in Asia.

Chissà se Paolo Villaggio lo sapeva. Mi era capitato di incontrarlo per lavoro, di parlargli. Pareva quasi infastidito vedendo che in lui non riconoscevamo l’attore, neppure la persona. Ma il personaggio.

Forse nemmeno si era reso conto che pochi artisti, come lui, come Totò o Charlie Chaplin, hanno il dono di diventare il personaggio che hanno creato. Di restare sospesi tra realtà e finzione. Di potersi perfino permettere di morire. Piu di tanti blasonati colleghi che in pochi anni spariscono nel nulla perché erano soltanto se stessi.

Eppure ancora non riesco a capire che cosa mi abbia portato fino a qui. Perché non è soltanto curiosità.

È che non fa poi così tanta differenza la fantasia dalla realtà, si finisce per affezionarsi anche a chi non esiste.

È che Fantozzi mi ricorda me stesso, la mia famiglia riunita davanti alla TV. E le risate, il dono così raro di far ridere. Riso amaro, magari.

Mi manca Fantozzi, come mi manca una parte di me. Per questo sono venuto. Sperando forse che, proprio perché non è mai esistito davvero, possa essere sopravvissuto agli anni meglio di noi.

E possa abitare lì per sempre. Che ogni mattina esca con quel vestito da quattro soldi, di tessuto sintetico, con quelle scarpe spesse, la sciarpa anche d’estate. E il cappello, certo, l’unico tocco genovese, lo spagnolin blu.

Mi verrebbe da restare qui fino alla mattina e aspettare per vedere se magari lo vedo uscire. Tutto il mondo intorno è cambiato, ma lui sale ancora sulla sua Bianchina parcheggiata nel posteggio a pettine davanti al palazzo. C’è davvero, proprio come nel film.

No, meglio di no. Non mi va di scoprire la verità, ce n’è perfino troppa in giro di questi tempi.

E così esco in strada e busso alla porta a vetri accanto. Il panettiere, lo stesso negozio del film. C’è sul serio. Dalla grande cesta bianca prendo uno sfilatino come quelli che comprava la Pina infatuata del virile panettiere Abatantuono.

E me lo porto a casa appena sfornato. La fantasia a volte è morbida, polverosa di farina. Ha il profumo tiepido del pane.

Lascia una Risposta








 Acconsento al trattamento dei miei dati personali (Regolamento 2016/679 - GDPR e d.lgs. n. 196 del 30/06/2003). Privacy Policy.

Il presente sito fa uso di cookie anche di terze parti. Si rinvia all'informativa estesa per ulteriori informazioni. La prosecuzione nella navigazione comporta l'accettazione dei cookie. Leggi di più

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi