Jorge Valdano racconta. In Messico, durante i mondiali dell’86, persi una scommessa contro Maradona.
Dopo gli allenamenti, rimanevamo sempre seduti in mezzo al campo a parlare un po’ per far passare il tempo, quel tempo che durante gli allenamenti sembra non passare mai. Le nostre chiacchierate non avevano mai nulla di straordinario. L’unica cosa che rompeva la monotonia era la presenza dei giornalisti che ci aspettavano (soprattutto a lui).
In una di queste, Diego disse con un po’ di disgusto:
“Guardali”.
“Sono tutti tuoi”, gli risposi tanto per dirgli qualcosa.
“A nessuno di loro piace il calcio”, proseguì.
Per far continuare la conversazione, scelsi l’altro lato del ring. “Maddai, possiamo discutere se ci capiscano o meno, ma a piacergli, piace a tutti”.
“Cosa ci giochiamo?”
“E come facciamo a scoprirlo?”, chiesi.
Si inventò un metodo che colpì la mia attenzione per la sua originalità e che ritenni accettabile come prova quasi scientifica. Bisognava lanciare un pallone in mezzo a quello sciame di giornalisti. Se ce lo ridavano con i piedi, vincevo io; se lo rilanciavano con le mani, vinceva lui. Accettai la sfida. Diego si alzò, prese un pallone e con quella precisione esagerata che ha e che, non so perché, mi ha sempre fatto ridere, la lanciò in mezzo al gruppo in questione. Scoppiò una zuffa, come se qualcuno avesse dato un calcio a un formicaio, una battaglia dalla quale uscì vincitore il più deciso e, dopo aver fatto tre o quattro passetti rapidi per chiarire chi avesse portato a casa la contesa, un uomo ci ridiede il pallone con entrambe le mani, facendo una specie di rimessa laterale.
Mi difesi come potevo: “Poverino, si vergognava a ridarla con i piedi perché tu sei Maradona”. Però Diego aveva una risposta anche per questo: “Se io mi trovo in una festa a casa del Presidente della nazione, con uno smoking e mi arriva un pallone pieno di fango, io la stoppo di petto e la ridò come Dio comanda”.
E Dio comanda di ridarla con i piedi, suppongo. Mi dispiace, giornalisti, ma non scommetterò mai più su di voi.
