Cosa facciamo per Gaza?

Dalla bacheca facebook del Colonnello Valerio Lancia
“SOLLECITO OGNI GOVERNO, OGNI LEADER È OGNI CITTADINO A CHIEDERSI:
Che cosa risponderemo ai nostri figli e ai nostri nipoti, quando ci domanderanno che cosa abbiamo fatto mentre Gaza veniva rasa al suolo e bruciata dalle fondamenta?”. Ogni azione genocidaria è un banco di prova dell’umanità che ci accomuna”.
Vi incollo integralmente l’intervento di Navi Pillay, presidente della Commissione internazionale indipendente d’inchiesta delle Nazioni Unite, apparsa oggi su Repubblica.

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Nel 1995 il presidente del Sudafrica Nelson Mandela mi chiese di comparire come giudice presso il Tribunale penale internazionale del Rwanda. La camera giurisdizionale da me presieduta condannò tre ruandesi per genocidio. Pertanto, conosco la parola “genocidio” e non è una parola che uso alla leggera. È il tentativo deliberato di distruggere, in tutto o in parte, un popolo. Rappresenta la violazione più seria della nostra umanità comune ed è la violazione più grave del diritto internazionale.

Ieri la Commissione delle Nazioni Unite di cui sono a capo ha pubblicato la sua analisi legale del comportamento di Israele nella Striscia di Gaza. La conclusione a cui siamo giunti è chiara: Israele ha commesso genocidio contro i palestinesi a Gaza. Questa conclusione si basa su indagini e numerose prove relative al periodo compreso tra il 7 ottobre 2023, quando è iniziata la guerra, e il 31 luglio 2025; è corroborata da molteplici fonti ed è definita da un rigoroso quadro giuridico della Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio del 1948, a cui Israele aderisce.

La mia organizzazione, la Commissione internazionale indipendente d’inchiesta sui Territori Palestinesi occupati, è stata costituita dal Consiglio per i Diritti umani delle Nazioni Unite nel 2021 ed è supervisionata da esperti appositamente nominati, supportati dal Segretariato dell’Onu. La Commissione riporta le sue conclusioni al Consiglio per i Diritti umani e all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite.

Perché è un genocidio

La portata della distruzione è devastante. Secondo le autorità sanitarie gazawe, sono stati uccisi più di 64mila palestinesi, tra cui 18mila bambini e quasi diecimila donne. L’aspettativa di vita stimata a Gaza è precipitata da 75 anni ad appena 40 in soli dodici mesi: si tratta di uno dei crolli più bruschi e rilevanti mai registrato. Ospedali, scuole, chiese, moschee e interi quartieri sono stati rasi al suolo. Dalla nostra analisi è emerso che l’affamamento è stato usato come un’arma di guerra e che il sistema medico-sanitario è stato distrutto di proposito. L’assistenza sanitaria alla maternità è stata gravemente compromessa. I bambini sono morti di fame, sono stati uccisi e sepolti sotto le macerie. Secondo l’Unicef, a Gaza ogni ora è morto un bambino. Questi non sono incidenti di guerra. Sono azioni premeditate finalizzate alla distruzione di un popolo.

Per determinare un genocidio non è fondamentale soltanto l’azione, ma altresì l’intento. Anche in questo caso, le prove sono evidenti. Leader israeliani di spicco, incluso il presidente, hanno disumanizzato i palestinesi. Yoav Gallant, il ministro della Difesa all’epoca degli attacchi del 7 ottobre, ha detto: “Abbiamo a che fare con bestie umane”, mentre il presidente Isaac Herzog ha affermato che l’intera nazione palestinese era responsabile. Alle loro parole si sono accompagnati gli atti: bombardamenti indiscriminati che hanno reso Gaza inabitabile, blocco degli aiuti umanitari, violenza di genere e violenza sessuale e un assedio che secondo noi è stato studiato per affamare a morte la popolazione. Tutti insieme, questi atti delineano uno schema che dimostra l’intento genocidario.

La Commissione ha riscontrato inoltre che i palestinesi sono stati uccisi mentre cercavano di procurarsi da mangiare presso i punti di distribuzione gestiti dalla Gaza Humanitarian Foundation, l’ente sostenuto da Israele e Stati Uniti che, in buona parte, ha rimpiazzato la rete esistente di distribuzione degli aiuti. Centinaia di palestinesi, bambini inclusi, sono stati uccisi mentre cercavano di accedere agli aiuti.

Gli obblighi degli altri Stati

Alcuni sostengono che il termine “genocidio” è troppo forte per essere usato mentre prosegue la guerra di Israele. La legge, tuttavia, parla chiaro: l’obbligo di prevenire un genocidio c’è nel momento stesso in cui si rende evidente un serio pericolo che si verifichi. In questa guerra, questa soglia è stata superata molto tempo fa. Nel gennaio 2024, la Corte internazionale di giustizia (Cig) avvertì tutti gli Stati del serio rischio che a Gaza fosse commesso genocidio. Da allora, le prove non hanno fatto altro che aumentare, e le uccisioni si sono moltiplicate.

Che cosa significa questo per la comunità internazionale?
Significa che i suoi obblighi non sono opzionali. Ogni Stato ha l’obbligo di impedire un genocidio, ovunque questo si verifichi. Tale obbligo impone di agire interrompendo la consegna di armi e aiuti militari usati per le azioni genocidarie, garantendo un aiuto umanitario senza impedimenti, fermando gli sfollamenti di massa della popolazione e la distruzione, e ricorrendo a tutti i mezzi diplomatici e legali disponibili per porre fine alle uccisioni. Non fare niente non significa essere neutrali, significa essere complici.

“Che cosa diremo ai nostri figli e nipoti?”

Non scrivo queste parole da nemica di Israele. Riconosco il dolore degli israeliani che hanno perso i loro cari negli efferati attacchi di Hamas del 7 ottobre, che hanno provocato la morte di 1.200 persone, e la sofferenza delle famiglie dei circa 50 ostaggi tuttora prigionieri, 20 dei quali ritenuti ancora in vita. La nostra Commissione ha documentato i crimini perpetrati da Hamas. In ogni caso, nessun crimine, per quanto grave, giustifica il genocidio. Rispondere a un’efferatezza con un’efferatezza significa abdicare ai valori garantiti dal diritto internazionale fin dalla sua creazione.

Sarà la Storia a giudicare come ha risposto il mondo. In Rwanda, la comunità internazionale non prevenne il genocidio, non intervenne per fermare le uccisioni, una volta iniziato il genocidio. Oggi la comunità internazionale sta fallendo di nuovo nell’agire, questa volta a Gaza. I fatti ci vengono riferiti quotidianamente. Le segnalazioni non sono ambigue. La legge è chiara. La posta in gioco, la sopravvivenza di un popolo, non potrebbe essere più grande.

L’obbligo di prevenire un genocidio non ricade soltanto sugli Stati, ma anche sul sistema internazionale nel suo complesso. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite non deve essere il sepolcro della coscienza. Le organizzazioni regionali, i parlamenti nazionali, la società civile e tutti i comuni cittadini hanno una loro parte da compiere per esercitare pressioni sui governi affinché agiscano. La Convenzione sul genocidio nacque dalle ceneri dell’Olocausto con una promessa solenne: “Mai più”. Quella promessa è priva di significato, se si applica soltanto ad alcuni e non agli altri.

Sollecito ogni governo, ogni leader e ogni cittadino a chiedersi: “Che cosa risponderemo ai nostri figli e ai nostri nipoti, quando ci domanderanno che cosa abbiamo fatto mentre Gaza veniva rasa al suolo e bruciata dalle fondamenta?”. Ogni azione genocidaria è un banco di prova dell’umanità che ci accomuna.

La prevenzione del genocidio non è una questione di discrezionalità degli Stati. È un obbligo legale e morale e non ammette ritardi. La legge impone di agire. L’umanità che ci accomuna lo esige.

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