Sono stato combattuto in questi giorni: Leopolda si, Leopolda no. Manifestazioni cgil si, manifestazioni cgil no. Alla fine, credo di aver fatto la scelta giusta. Stare a casa. Nè con l’una nè con l’altra ipotesi. Nessuna delle due ipotesi per me andava bene. Ero contrario alla proposta del Jobs act, almeno inizialmente. Ho cambiato parzialmente idea quando, trovandomi a parlare a Roma con un grosso imprenditore, quest’ultimo evidenziava come la nuova norma fosse peggiorativa delle precedenti, dal suo punto di vista. Ovvero: aumentava le tutele ai nuovi assunti, aboliva i contratti precari a progetto, introduceva il salario minimo e, soprattutto, rendeva il lavoro a tempo determinato più costoso di quello indeterminato. Questa è stata sempre una battaglia della sinistra, per cui ho cominciato a rivedere con un occhio diverso la proposta soprattutto dopo che, comunque, il governo ha annunciato di voler stralciare l’abolizione dell’art.18 senza giusta causa. Questa è una battaglia simbolica che non può essere messa in discussione e credo che, una volta eliminato questo aspetto, rende l’applicazione della legge proposta complessivamente uguale alla normativa attuale. Parto, culturalmente, da un’ipotesi: quando protesta la Cgil ha sempre ragione. Mi viene il dubbio, però, che stavolta neanche loro hanno capito dove è il vero problema. Si cerca in tutti i modi di curare gli effetti dei problemi e mai curarne la causa. Ritengo, però, che le cause di questa condizione economica e sociale precaria, nel senso letterale ed estensivo del termine, venga da lontano: dopo la morte di Enrico Berlinguer si sono gettate le basi per la “svalutazione del lavoro”. Ovvero si eliminò la “scala mobile” ed i poteri forti non trovarono più ostacoli davanti a sè. Questo è il dramma. La svalutazione del lavoro (e di conseguenza della persona). Bisogna oggi quindi ragionare con nuovi schemi e capire se la proposta del jobc act, complessivamente, peggiora o migliora questo aspetto nel suo complesso. Un’indagine di SWG ha evidenziato come il 60% degli under 30 non ha compreso la battaglia a difesa dell’articolo 18. E’ questo un dato su cui riflettere. Ed ancora: L’Espresso ha raccolto il parere delle aziende che il lavoro, nonostante la crisi, lo stanno creando davvero. Ne esce un quadro sorprendente, dove quasi nessuno è a favore dell’abolizione dell’articolo 18 e c’è chi propone di eliminare tutti i contratti precari, anche quelli a termine. Molti manager ed imprenditori giudicano negativamente la battaglia di Renzi per l’abolizione – o comunque una corposa modifica – dell’articolo 18, elemento cardine dello Statuto dei Lavoratori, utile a tutelare il diritto al reintegro in caso di licenziamento illegittimo. Gianni Scotti, da vent’anni a capo della Saint-Gobain Italia, ha 3.700 dipendenti: “Non ricordo di aver mai avuto a che fare con l’articolo 18. Se c’è un problema con un dipendente lo si risolve dialogando e mantenendo un atteggiamento di rispetto verso le persone”. Ecco perchè, se da un lato non mi convince la proposta del jobc act, dall’altro non mi convince la protesta della Cgil; se da un lato non condivido l’atteggiamento di Renzi di tirare dritto rifiutando il dialogo con le parti sociali, dall’altro non mi convince chi dice di combattere una battaglia per i giovani i quali però non conoscono neppure l’argomento. Dunque sto a casa. Aspettando che questo scontro tra sindacati e Leopolda non sia un’altra battaglia tra minoranza e maggioranza PD che, troppo spesso, anziché discutere dentro il Partito, trovano luoghi di scontro esterni. In questo modo, di certo, non cresce il PD e nemmeno il Paese.
(Gianpio Sarracco)