7 OTTOBRE 1992 moriva AUGUSTO DAOLIO,la voce dei Nomadi.
Augusto Daolio e con lui in qualche modo si chiudeva un’epoca, un modo di fare le cose, un approccio alla canzone italiana che, dall’avvento del Beat, aveva portato diverse nuove generazioni a cambiare le regole del gioco.
Augusto rappresentava un mondo che ancora oggi è ben vivo, ma lontanissimo dal mainstream del pop nazionale, quello della canzone d’autore moderna, influenzata dal beat inglese e dal folk americano, radicata saldamente nella provincia italiana ma disposta a superare con lo sguardo i confini nazionali, una canzone che sapeva e sa essere attenta ai movimenti sociali ma anche alle passioni e ai sentimenti.
Ecco, Augusto era questo, un ragazzo italiano diventato uomo assieme alla sua musica e ai Nomadi, una band che fin dagli esordi aveva saputo mettere insieme tutto quello che era importante, musica, poesia, rock, folk, politica, canzone, passione.
A quarantacinque anni Daolio ci ha lasciato, nel 1992, ma ancora oggi i ragazzi, molti dei quali non lo hanno mai visto cantare dal vivo, lo amano e amano i Nomadi. “Lo amano perché Augusto è riuscito, nel tempo che ha vissuto, a lasciare un segno fortissimo”, dice Beppe Carletti, amico fraterno e fondatore con Daolio dei Nomadi, “i ragazzi di oggi lo hanno incontrato nelle sue canzoni che noi portiamo avanti ancora e di quelle canzoni s’innamorano.
Ed è per questo che penso che sia stato davvero positivo avere continuato, per lui, per noi”.
Daolio non era certo un divo, anzi, il suo stile di vita, il suo modo di stare in scena, anche addirittura il suo stile vocale, erano l’esatto opposto di quello che oggi vediamo nel mondo del pop. “Non avrei pensato che potesse diventare un’icona – dice sorridendo Carletti – era un antidivo sotto ogni punto di vista”.