Di Lorenzo Tosa.
È morto un uomo straordinario. Si chiamava Ferruccio Laffi, era uno degli ultimi sopravvissuti della Strage di Marzabotto. Aveva 95 anni.
Ne aveva sedici il 30 settembre del 1944 quando, tornando nella sua casa di Monte Sole, trovò l’intera famiglia ammazzata dai nazifascisti: mamma, papà, fratelli, sorelle. 14 persone in tutto, trucidati insieme a migliaia di italiani innocenti.
Li ammazzarono uno per uno, nelle case, nelle cascine, persino nelle chiese, donne, anziani e bambini, alcuni fucilati sul posto, altri bruciati vivi, altri ancora decapitati. In tutto alla fine saranno 1830 le vittime. Per una settimana intera. Non importava se avessero combattuto o no, se fossero o meno partigiani. I nazisti erano arrivati sull’Appennino bolognese con un piano preciso in testa: ammazzare qualunque essere umano in grado di respirare. E così fecero.
Ferruccio Laffi si salvò per miracolo, andandosi a nascondere nel bosco. Quando tornò a casa e vide quei 14 corpi, li seppellì uno per uno con le sue mani. Avete idea di cosa significhi una cosa simile, a 16 anni, solo al mondo?
Ha trascorso metà della sua vita a cercare di dimenticare l’orrore.
E, quando ha capito che era impossibile, ha cominciato a raccontarlo. A testimoniare. A denunciare, a chiedere (e infine ottenere) giustizia. Perché altri, dopo di lui, non lo potessero più cancellare.
Con Ferruccio Laffi perdiamo tantissimo. Un testimone, una memoria vivente, un essere umano di una bellezza rarissima in questi tempi balordi di nostalgie e di rigurgiti neri.
Mancherà come l’aria il suo esempio.
Che la terra gli sia lievissima, almeno ora.