Il Benfica e la maledizione di Béla Guttmann

Dalla pagina Facebook di Francesco F. Pagani Sciabolata morbida. 

E così, il Benfica è stato nuovamente eliminato nella corsa alla vittoria della Champions League.
E così, la maledizione di Béla Guttmann ha colpito ancora.

Come? Non sapete cosa sia la leggendaria maledizione di Béla Guttmann?
Allora lasciate che ve lo racconti…

Guttmann nacque a Budapest, in Ungheria, nel gennaio del 1899 e giocò nelle giovanili del Törekvés, squadra in cui arrivò poi ad esordire tra i grandi.
Ex difensore e centrocampista, a 16 anni era già istruttore di danza (i suoi genitori erano entrambi ballerini), ma lui preferì concentrarsi sulla pratica del calcio, sport che stava prendendo piede nell’Impero austro-ungarico.

In carriera giocò, oltre a 4 partite in Nazionale, anche negli Stati Uniti ed in Austria, paese nel quale mosse i primi passi da allenatore quando, nel 1933, appese le scarpette al chiodo per prendere la guida dell’Hakoah Vienna.
Fondato nel 1909 da sionisti austriaci influenzati dalla dottrina di Max Nordau chiamata “Giudaismo Muscolare”, il club viennese accolse Béla – nato anch’esso in una famiglia di origine ebrea – sia come calciatore (ci vinse un campionato) che come allenatore.

Dopo due anni alla guida dell’Hakoah Guttmann ne passò un paio in Olanda all’SC Enschede prima di tornare all’ovile.
Era il 1937 quando tornò a Vienna.

L’anno successivo, però, successe ciò che è passato alla storia come “Anschluss” e, col paese passato sotto la guida di Hitler, il club sionista venne chiuso.
Tornato in patria, guidò per un anno l’Újpesti, prima che la guerra prese il sopravvento.

Non è molto chiaro come passò quegli anni, lui non volle mai raccontare di quel periodo limitandosi a dire di come Dio l’avesse aiutato a sopravvivere.
Suo fratello maggiore, invece, fu una delle tante vittime dell’Olocausto.

Finita la guerra Béla torna al suo grande amore: il calcio.
Allena in Ungheria e Romania, paesi in cui però non giravano molti soldi, finché nel 1949 decise di accettare la proposta del Padova e trasferirsi in Italia.

Passeranno quattro anni, con esperienze anche molto diverse tra loro come quella alla guida della nazionale ungherese e quella al Quilmes, prima che Béla trovi un po’ di stabilità.
Nel 1953 lo chiama infatti il Milan, che però a metà della seconda stagione lo licenzia nonostante il primo posto in classifica, per un non meglio precisato litigio con i dirigenti.

Béla sembra essere un’anima in pena.
Non riesce a trovare stabilità in uno stesso posto, non riesce a durare più di qualche mese alla guida di una stessa squadra, non si fa però nemmeno problemi a girare il mondo, come già aveva fatto da calciatore.

Così dopo una parentesi al Vicenza eccolo tornare in Ungheria per stare un anno alla Honvéd, prima di volare addirittura in Brasile a guidare il San Paolo, con cui vincerà un campionato paulista, quarto trofeo vinto nella sua carriera da tecnico dopo i due campionati ungheresi e la Mitropa Cup vinti con l’Újpest.
Proprio la sua esperienza brasiliana sarà uno dei passaggi chiave della sua carriera, perché sarà col suo arrivo al Tricolor Paulista che contribuirà a diffondere nel paese quel 4-2-4 che sarà poi il modulo di base che porterà il Brasile a vincere il suo primo Mondiale, quello del 1958.

Rientrato in Europa guidò per un anno il Porto, con cui recuperò al Benfica 5 punti nelle ultime giornate riuscendo così a vincere il campionato.
Quella importante performance spinse proprio il Benfica a “rubarlo” agli acerrimi rivali.

E proprio le Águias divennero il club che ha guidato per più stagioni nella sua carriera (3 consecutive, più una qualche anno più tardi, dopo un’esperienza al Peñarol ed una da supervisore delle Nazionali austriache), oltre quello con cui ha vinto di più.
Il suo arrivo al Benfica fu “traumatico”.

Infatti Guttmann si liberò di 20 calciatori e promosse un sacco di canterani di quello che, negli anni, è diventato uno dei migliori settori giovanili del pianeta.
Sembrava una follia, invece vinse subito il campionato.

All’inizio della stagione successiva contrattò con i dirigenti lusitani un sostanzioso premio in denaro in caso di vittoria della Coppa dei Campioni.
I dirigenti accettarono senza batter ciglio, pensando che sarebbe stato impossibile sconfiggere il Real Madrid, che aveva dominato le prime cinque edizioni.

Solo che Guttmann ci credeva davvero, credeva nelle sue tattiche avanguardistiche (per l’epoca) e, detto-fatto, vinse il titolo battendo in finale il Barcellona (che a sua volta aveva eliminato proprio il Real) di Suárez, Kocsis, Kubala e Czibor.
Come se non bastasse, in quella stagione lanciò anche, facendogli giocare due partite, quello che per decenni sarebbe stato il miglior giocatore nella storia del Portogallo, un certo Eusébio.

Un giocatore che l’anno successivo segnò 29 gol in 31 partite, con 5 centri in 6 gare di Coppa dei Campioni, permettendo a Béla ed al suo Benfica di bissare quanto vinto l’anno precedente.
Così, ancora oggi, se prendiamo in mano l’albo d’oro della competizione possiamo vedere che la stessa fu vinta da 2 sole squadre nei primi 7 anni, il Real Madrid ed il Benfica, appunto!

In quella seconda finale Guttmann ed i suoi ragazzi sconfissero proprio il Real di Alfredo Di Stéfano, Ferenc Puskás e Francisco Gento.
Il 5 a 3 finale fu marchiato da una doppietta della stellina nata in Mozambico, coi madridisti che vennero invece trascinati da una tripletta del connazionale di Béla.

In nessuno dei due casi, tanto per intenderci su cosa fosse il calcio sudamericano di quegli anni (lo dico soprattutto a quelli che sminuiscono Pelé per non essere mai stato in Europa a giocare), il Benfica riuscì però a vincere l’Intercontinentale.
Nel 1961 venne infatti sopraffatto dal Peñarol, l’anno seguente dal Santos (con Pelé che segnò 5 gol in due partite, di cui 3 al Da Luz).

Dopo tutti quei trionfi, però, Béla voleva un sostanzioso aumento dell’ingaggio.
Un aumento che però venne rifiutato seccamente dalla dirigenza lusitana, portando alle dimissioni da parte del mister ungherese.

Nel dare l’addio alla squadra che aveva portato per due volte sul tetto d’Europa, Béla Guttmann sentenziò quella che è passata alla storia come la sua maledizione.
“Senza di me questo club non vincerà in Europa per i prossimi 100 anni”, disse.

Ne sono passati 60 e da allora il Benfica ha perso 5 finali di Coppa dei Campioni e 3 di Europa League.
E la maledizione, per quello che riguarda la prima squadra, dura ancora oggi, con il Benfica che era stato uno dei club migliori dei gironi di Champions, ma che non è riuscito a completare la rincorsa al titolo.

Come detto, dopo aver dato l’addio al Benfica la carriera di Béla ha continuato ad essere quella di un giramondo.
Ha infatti allenato in Uruguay (diventando l’unico allenatore della storia ad aver partecipato ad una finale di Coppa Campioni e ad una di Libertadores), Austria, Svizzera, Grecia e nuovamente in Portogallo, chiudendo la propria carriera nel 1974, a 75 anni, sulla panchina del Porto.

In carriera ha vinto 10 titoli ed è passato alla storia, oltre che per il famoso 4-2-4 importato in Brasile, per uno stile di gioco che si affidava ai lanci per risalire il campo e poi ad una serie di passaggi corti nell’ultimo terzo di campo, per aumentare la precisione degli stessi e cercare di liberare gli attaccanti al tiro.
Archetipo della figura di allenatore carismatico, nel 1981 fu inserito nell’International Jewish Sports Hall of Fame, mentre nel 2007 il prestigioso giornale inglese The Times lo ha annoverato tra i tecnici più influenti del periodo postbellico, inserendolo all’ottavo posto.

Quando morì, nel 1981, Eusébio andò a chiedere la “grazia”, per il Benfica, sulla sua tomba.
Eppure, a 41 anni da allora, la Maledizione di Béla sembra essere più “viva” che mai.

A questo punto ai tifosi benfichisti non resta che mettersi il cuore in pace per i prossimi 40 anni…!

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