Non solo la Toscana piange Carlo Monni

 E’ morto a Firenze l’attore Carlo Monni. Fiorentino, 70 anni, è stato per anni al fianco di Roberto Benigni al tempo degli esordi: da “Telavacca”, parodia di una trasmissione televisiva ambientata in una stalla, a “Berlinguer ti voglio bene” di Giuseppe Bertolucci. Protagonista in “Storie di ordinaria follia” di Marco Ferreri ed in “Speriamo che sia femmina” di Mario Monicelli. Uno degli ultimi impegni cinematografici in “Manuale d’amore 3” di Giovanni Veronesi. Il Teatro di Rifredi era la sua seconda casa, negli ultimi quindici anni era stato parte integrante delle attività del teatro e la direzione lo ha voluto ricordare così: “Il nostro caro amico Carlo Monni se ne è andato domenica sera. Era un artista unico ed inimitabile. Prima ancora di essere capace di dar vita a tanti indimenticabili personaggi, era lui stesso uno straordinario personaggio. Ha recitato, cenato con gli amici e camminato alle Cascine fino al giorno prima di entrare in ospedale. Questa era la sua vita. Era solare, generoso come pochi ma poco incline ai compromessi. Era un uomo libero, senza pregiudizi né morali né artistici. Cercava sempre la verità sia sulla scena che nei rapporti con le persone. Nel lavoro voleva divertirsi e divertire la gente, ma era anche un uomo colto ed un amante della poesia e della musica!”. Corpulento, sanguigno, allergico a salamelecchi e ruffianerie, uomo artisticamente generoso. Nel 1978 interpretava il personaggio povero e greve del “Bozzone”, l’amico di “Mario Cioni”, ovvero Roberto Benigni, che poi va con la madre dell’amico (Alida Valli) in “Berlinguer di voglio bene” di Giuseppe Bertolucci, film che dava voce a quel mondo sottoproletario, sradicato dalla terra e dal mondo contadino e segnato dalla miseria nell’hinterland tra Prato e Firenze. Attore che non ha mai lasciato il teatro, per il grande schermo ha recitato per Marco Ferreri (“Chiedo asilo” del 1979), Sergio Citti, Monicelli (Speriamo che sia femmina del 1985), Carlo Lizzani (Mamma Ebe del 1985), Pupi Avati, Francesco Nuti, l’Alessandro Benvenuti regista, Tinto Brass e Paolo Virzì. Benigni lo volle nel suo “Tu mi turbi” del 1983, l’anno successivo partecipò al film del futuro premio Oscar e di Massimo Troisi “Non ci resta che piangere”. Agli esordi con Benigni Monni fece tra l’altro “Televacca”, trasmissione tv in una stalla. E come poteva divertirsi con turpiloquio che era voce contro l’ipocrisia ed espressione di realtà marginali, così sapeva dare voce – a teatro – alla poesia e alla vita del poeta Dino Campana. Amava, tra le altre cose, recitare in ottava rima, forma poetica della tradizione contadina toscana. Indimenticabili “Caruso Paskoski”, “Lucignolo”, “No grazie, il caffé mi rende nervoso”, “Benvenuti in casa Gori”. Lascia una grande eredità cinematografica alla scuola toscana. Era anche un attore teatrale e aveva partecipato ad alcune importanti produzioni.

 

E’ passata alla storia cinematografica anche la sua interpretazione della poesia “Noi semo quella razza”, enunciata in bicicletta con Benigni nel film “Berlinguer ti voglio bene”

 

No’ semo quella razza

che non sta troppo bene

che di giorno salta fossi

e la sera le cene.

 

Lo posso grida’ forte

fino a diventa’ fioco

no’ semo quella razza

che tromba tanto poco.

 

Noi semo quella razza

che al cinema s’intasa

pe’ vede’ donne ‘gnude

e farsi seghe a casa.

 

Eppure, la natura ci insegna

sia su’ i monti, sia a valle

che si po’ nascer bruchi

pe’ diventa’ farfalle.

 

Noi semo quella razza

che l’è tra le più strane

che bruchi semo nati

e bruchi si rimane.

 

Quella razza semo noi

l’è inutile far finta:

c’ha trombato la miseria

e semo rimasti incinta.

 

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