“Superare il Pd partendo dal cambio del nome”, Roberto Morassut lancia la Bolognina 2

Da il riformista.it

Da un “nuovo Pd”, oltre il “Pd”. E Roma può esserne il laboratorio politico Il Riformista ne discute con Roberto Morassut, deputato dem, un passato da amministratore del Comune di Roma, assessore all’Urbanistica nella giunta Veltroni. Nel governo Conte II è stato sottosegretario al Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare.

Nel Partito democratico si è aperto, su impulso del neo segretario Enrico Letta, un dibattito sull’identità di una forza di sinistra. C’è chi ha interpretato questa sottolineatura identitaria come fuga dalla realtà. come fumosa astrazione.
Sul termine “identità” bisogna intendersi. Se essa vuol dire rifiutare il campo reale dell’agire politico, per affermare una purezza, allora certamente si finisce in una terra di nessuno. Se “identità” vuol dire interpretare la “realtà effettuale” per far avanzare le tue idee fondamentali, quelle per cui esisti, essa è necessaria. Infine c’è un’altra strada: adeguarsi alla corrente, farsi trascinare dai fatti e galleggiarvi sopra. Si ripropone, in un certo senso, la distanza tra Machiavelli e Guicciardini. Tra queste due strade c’è la via dell’interpretazione della realtà, del sentirsene parte integrante e attraversarla pienamente: è la grande lezione della filosofia della crisi del ‘900, l’ermeneutica. Valori costanti in forme mutanti, potrei dire. Il declino elettorale del PD è palese: 33% nel 2008, 23% nel 2013, 18% nel 2018… Cosa dobbiamo attendere per capire che c’è bisogno di un nuovo ciclo? Io dal 2016 chiedo che si apra una “fase costituente” per dar vita ad un soggetto politico che assuma la denominazione di “Democratici”, un partito-movimento che superi – eliminando la P- la classica forma del partito novecentesco, nella quale siamo fatalmente rifluiti e che appare evidentemente caricaturale. Si può obbiettare che sto proponendo un cambiamento estetico. Non è così. Anche perché l’estetica, il linguaggio, la comunicazione sono migrate sempre più velocemente dalla fine dell’800, dall’arte e dalla letteratura, alla politica e alla società. Quello che sei dipende anche da come ti mostri e dal linguaggio che scegli.

Quali sono le cause di questo declino?
Il cammino dei “Democratici” ha attraversato due cicli decennali: il primo (dal 1995 al 2005) è stato quello dell’Ulivo, poi degradatosi in Unione, il secondo ciclo ha riguardato il percorso del Partito Democratico. Il Partito Democratico, però, è stato di fatto, solo per brevi momenti quella forza a vocazione maggioritaria che Veltroni aveva immaginato per primo. Abbiamo intuito prima di altri che la società esprimeva l’esigenza, oramai prevalente, di nuove forme partecipative non più compatibili con le tradizionali “forme partito” e con certi loro riti; che le forme dell’intermediazione politica con i cittadini e con le masse avevano intrapreso strade più mobili. Ma poi non siamo riusciti nell’impresa. Ad un certo punto, infatti, “il vecchio ha afferrato il nuovo” e sono risorte antiche pigrizie partitiche e correntizie, tuttavia senza i pregi dei partiti radicati e popolari e senza i pregi delle correnti portatrici di apporti ideali, culturali e programmatici.

Cosa vuol dire ”aprire una fase costituente” ?
Occorre sviluppare l’esperienza del Pd in un più ampio perimetro di realtà democratiche, civiche ed associative che rappresentano il reale alveo, storicamente determinato, della partecipazione civile e che necessita di un raccordo generale che indirizzi in una visione condivisa ed in valori condivisi le innumerevoli esperienze che oggi animano con proprie forme organizzative strutturate, il tessuto democratico del Paese. E collocare questa forza, potenzialmente poderosa, sul crinale della transizione ecologica e digitale di questa epoca. Credo che dovremmo dar vita ad una vera e solida “Fondazione Democratica” che aggreghi intelligenze, competenze plurali, un nucleo cerebrale di produzione di idee e programmi, con una modalità di formazione e promozione politica riformista, non pedagogica come le Frattocchie. E poi dar spazio ad una rete di forme e soggetti partecipativi molto libera ed aperta che concorrano ad allargare il campo in forme federate. Abbiamo bisogno di riconnettere popolo e intellettuali con modalità del tutto nuove. Aggiungo che siamo alla vigilia di una fase di grandi cambiamenti politici. Bisogna prepararci per tempo ad una offerta nuova. Il Covid, peraltro, sta comprimendo le persone e quando finirà si creerà una grande voglia di esserci di milioni di persone. Dopo questo governo insolito dovremo proporci con un profilo riconoscibile. Letta chiede giustamente che i sedicenni votino. È quindi a tutti evidente che dobbiamo uscire da questa ridotta e proporre una nuova esperienza costruendola da subito con l’Italia progressista.

In un’intervista a questo giornale, Paolo Mieli, ha rivolto un consiglio a Letta: un salutare, rigenerante periodo all’opposizione. La metto giù brutalmente: il Partito democratico, nel suo gruppo dirigente allargato, è gravemente malato di “poltronismo”?
Noi abbiamo il dovere di ricercare sempre la strada per esercitare il governo delle cose. Poi puoi stare all’opposizione ma mai per scelta aprioristica magari finalizzata di una terapia rigenerante. Il problema mi pare un altro. La sinistra ha sempre avuto due attitudini: una radicale e una riformista. Entrambe, per loro natura, contengono il rischio di due opposte forme di deviazione: l’una il massimalismo parolaio, l’altra l’opportunismo compromissorio. Il problema attuale del Pd – governi o sia opposizione- sta in una forma di “correntismo totalitario”. Il correntismo conforma ormai ogni decisione, dalla più importante, alla più piccola. Il correntismo come forma totalitaria ha bisogno di ruoli, in una bulimia autoriproduttiva ininterrotta che però danneggia l’organismo del partito, come una malattia autoimmune. Le correnti sono utili se portano idee ma non sempre è cosi, mi pare. Non cerco un partito monolitico, ma un pluralismo diverso, più ricco e che non comprima completamente il libero pensiero e la creatività di ognuno. Attualmente partecipo agli incontri dell’associazione “le Agorà”, un gruppo di ascolto e di confronto avviato con Goffredo Bettini e con diversi, a volte anche molto diversi, esponenti di varia provenienza. Non parliamo di poltrone, peraltro nessuno ce le propone, ma di idee. Uscirà presto un documento, un manifesto che vuole stimolare una ripresa di discussione sulle idee e sui programmi, nascerà una rivista e una piccola scuola per seminari di studio, a costo zero.

Il Pd è identificato come il partito delle élite, dell’establishment. Per venire ad una città che lei conosce molto bene, Roma, il Pd vince ai Parioli, quartiere borghese, ed è marginale a Tor Bella Monaca e nelle periferie. Non c’è un enorme problema di rappresentanza sociale? La sinistra senza popolo non è un ossimoro?
Se cerchiamo di rappresentare questo popolo di oggi con parole logore o cercando nelle periferie quel che non c’è più non ne verremo mai a capo. Dobbiamo fare i conti con la mobilità, la polverizzazione, la liquidità contemporanea delle grandi metropoli globalizzate. Queste metropoli e anche Roma ci appaiono come un “deserto sovraffollato”, che va attraversato. Non c’è alternativa. Il movimento socialista ci ha messo decenni per rappresentare il lavoro operaio. C’è voluta dottrina, pensiero, tanto apostolato. La “questione urbana” nel pensiero socialista era centrale. Pensiamo alla Londra di Engels. Ecco. Roma può essere un laboratorio di forme politiche e di pensiero sulla società e i suoi mutamenti. Quel popolo disperso e polverizzato che vive nei quartieri di periferia ma anche in certe zone impoverite di città consolidata va raccolto con una nuova idea di potere democratico metropolitano che gli dia forza e diritti. Dopo il Covid servirà un piano di servizi che faccia leva sulla digitalizzazione del sistema urbano: servizi per gli anziani, per le donne, per gli studenti, nuovi standard abitativi, trasporto pubblico de-carbonizzato, sostenibilità ambientale diffusa, diritto all’accesso al bene dell’acqua e alla depurazione. In periferia la battaglia si vince o si perde sempre sul modello di servizi e di welfare. Infine occorre una proposta politica ad altissimo carattere civico per raccogliere e chiamare alla lotta reti immense di volontariato e di civismo attivo, democratico e radicale, laico e religioso che non trovano un luogo in questo Pd.

Per restare a Roma. sulla strada dell’intesa strategica tra Pd e 5 Stelle c’è Virginia Raggi. A Roma si vota in autunno, come la mettiamo?
Virginia Raggi ostacola un’intesa. Comunque non smettiamo di dialogare e incoraggiare quelle forze che nel Movimento Cinque Stelle, pur senza rinunciare alla propria appartenenza, si vanno distinguendo anche clamorosamente da questa amministrazione. Il Pd deve darsi un profilo. Su un programma innovativo che però non tagli le radici della storia migliore del movimento democratico romano che ha un suo flusso, una sua memoria e che ha reso la città migliore. Questo è lo spazio della politica, non solo quello di trovare un candidato comune e spartirsi dei ruoli. C’è un lavoro paziente e metodico che va fatto per costruire in ogni municipio un’agenda di obbiettivi e comporli in un programma che deve avere al centro la transizione ecologica e sociale di Roma verso il 2030. Servono però enormi energie fisiche, una grande voglia. Roma è grande. Camminare, incontrare costa fatica e tempo. Bisogna smetterla con le parole e incamminarci.

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