Guida al Referendum

A cura di Sergio Proia. 

Il referendum che si terrà tra pochi giorni riguarda uno dei cardini del sistema democratico: la giustizia. Si voterà domenica 12 giugno, dalle 7 alle 23. A Fontana Liri i seggi elettorali sono gli stessi delle ultime elezioni e cioè:
Sezioni 1 e 2 al Centro Polifunzionale;
Sezione 3 a Fontana Liri superiore;
Sezione 4 alla Palestra delle Scuole Medie.
Gli italiani sono chiamati a esprimersi su cinque diversi quesiti referendari, che chiedono di abrogare – cioè eliminare – altrettante leggi. Ovviamente, è possibile scegliere di votare anche per uno solo dei quesiti. Per votare è necessario presentarsi alle urne con un documento d’identità e la tessera elettorale.
In generale, bisogna votare “sì” se si vuole cambiare la legge attuale, oppure votare “no” se si vuole mantenere l’assetto corrente.
Per essere valido, ogni quesito dovrà raggiungere il quorum: è necessario che si rechino alle urne metà degli elettori più uno. Vediamo ora quali sono i cinque quesiti e quali sono le varie posizioni in merito.

Primo quesito: incandidabilità per i politici condannati
In Italia, chi è condannato in via definitiva per alcuni gravi reati penali non può candidarsi alle elezioni, né assumere cariche pubbliche e, se è già stato eletto, decade. Coloro che sono eletti in un ente locale, come i sindaci, sono invece automaticamente sospesi dopo una sentenza di condanna di primo grado (quindi non in via definitiva, dato che nel nostro ordinamento sono garantiti tre gradi di giudizio).
Se vince il “sì”, l’incandidabilità, l’incompatibilità e la sospensione dei politici condannati non saranno più automatiche ma verranno decise da un giudice caso per caso.
Chi è per il “sì” sostiene che l’attuale legge penalizza gli amministratori locali che vengono sospesi senza condanna definitiva, esponendoli alla pubblica condanna anche nel caso in cui si rivelino poi innocenti.
Chi è per il “no” sottolinea che se l’attuale legge verrà abolita, i politici condannati per mafia, corruzione, concussione o peculato potranno tornare a candidarsi e a ricoprire cariche pubbliche.
Se vuoi eliminare l’incandidabilità e l’incompatibilità per i politici condannati vota “sì”, altrimenti vota “no”. La scheda rossa è quella del primo quesito.

Secondo quesito: limitazione delle misure cautelari
Le misure cautelari sono provvedimenti – decisi da un giudice – che limitano la libertà di una persona sotto indagine (quindi non ancora condannata). Alcuni esempi sono la custodia cautelare in carcere e gli arresti domiciliari. Oggi, le misure cautelari possono essere applicate solo in tre casi: se c’è pericolo 1) di fuga, 2) di alterazione di prove e 3) di ripetizione del reato (cioè se c’è il rischio che il reato continui ad essere commesso mentre la persona è sotto indagine).
Se vince il “sì”, viene eliminata la ripetizione del reato dalle motivazioni per disporre misure cautelari. Rimangono il pericolo di fuga e di alterazione delle prove.
Chi è per il “sì” sostiene che oggi ci sia un abuso delle custodie cautelari e che spesso si mettano in carcere persone non condannate, violando così il principio della presunzione di innocenza. La ripetizione del reato è infatti la motivazione più frequente per disporre una custodia cautelare (circa nel 70 per cento dei casi). Negli ultimi trent’anni, circa 30 mila persone sono state incarcerate e poi giudicate innocenti e ancora oggi un terzo dei detenuti è in carcere perché sottoposto a custodia cautelare.
Chi è per il “no” sostiene che, se cambia la legge, sarà molto difficile applicare misure cautelari a persone indagate per gravi reati, come corruzione, stalking, estorsioni, rapine e furti. Inoltre, non ci sarebbe alcuna garanzia di non mettere in carcere persone innocenti, poiché le altre motivazioni rimangono applicabili.
Se vuoi eliminare l’applicabilità delle misure cautelari in caso di ripetizione del reato vota “sì”, altrimenti vota “no”. La scheda arancione è quella del secondo quesito.

Terzo quesito: separazione delle carriere nella giustizia
Nel corso della loro vita, i magistrati italiani possono passare più volte dal ruolo di pubblici ministeri (cioè coloro che si occupano delle indagini insieme alle forze dell’ordine e svolgono la parte dell’accusa) al ruolo di giudici (cioè coloro che emettono le sentenze sulla base delle prove raccolte e del contradditorio tra l’accusa e la difesa).
Se vince il “sì” i magistrati dovranno scegliere, all’inizio della loro carriera, se svolgere il ruolo di giudici oppure di pubblici ministeri, per poi mantenere quel ruolo per tutta la vita.
Chi è per il “sì” sostiene che separare le carriere garantirebbe una maggiore imparzialità dei giudici, perché così sarebbero slegati per attitudini e approccio dalla funzione punitiva della giustizia che appartiene ai pubblici ministeri. In altre parole, il fatto che una persona che per qualche anno si abitui ad “accusare” e poi venga messa nella posizione di “giudicare”, non sarebbe una condizione ideale per il sistema democratico.
Chi è per il “no” sostiene che la separazione delle carriere non sarà comunque efficace dato che la formazione, il concorso per accedere alla magistratura e gli organi di autogoverno dei magistrati resterebbero in comune. Inoltre, c’è chi teme che in questo modo i pubblici ministeri sarebbero sottoposti a un maggiore controllo da parte del Governo, finendo per diventare una sorta di “avvocati” della maggioranza che controlla l’esecutivo.
Se vuoi che le carriere dei magistrati – giudici e pubblici ministeri – siano separate vota “sì”, altrimenti vota “no”. La scheda gialla è quella del terzo quesito.

Quarto quesito: valutazione dei magistrati
In Italia, i magistrati vengono valutati ogni quattro anni sulla base di pareri motivati, ma non vincolanti, dei Consigli giudiziari, istituiti presso ogni Corte d’appello d’Italia. Questi organi sono composti da magistrati, avvocati e professori universitari di diritto, ma soltanto i magistrati possono votare nelle valutazioni professionali degli altri magistrati.
Se vince il “sì” anche avvocati e professori universitari avrebbero il diritto di votare sull’operato dei magistrati.
Chi è per il “sì” sostiene che questa riforma renderebbe la magistratura meno autoreferenziale e la valutazione dei magistrati più oggettiva.
Chi è per il “no” è convinto che non sia opportuno dare agli avvocati il ruolo di valutare i magistrati, dato che nei processi i pubblici ministeri rappresentano la controparte degli avvocati. Le valutazioni potrebbero, per questo motivo, essere pregiudizievoli e ostili. Allo stesso modo, i magistrati potrebbero essere influenzati dal trovarsi di fronte a un avvocato coinvolto nella sua valutazione professionale.
Se vuoi che anche gli avvocati e i professori universitari possano valutare i magistrati vota “sì”, altrimenti vota “no”. La scheda grigia è quella del quarto quesito.

Quinto quesito: elezione del Consiglio superiore della magistratura
Il Consiglio superiore della magistratura è l’organo di autogoverno della magistratura: ha lo scopo di mantenerla indipendente rispetto agli altri poteri dello Stato e gestisce le assunzioni, i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari dei magistrati. È composto da 24 membri, eletti per un terzo dal Parlamento e per due terzi dai magistrati stessi. Oggi, per candidarsi, è necessario presentare almeno 25 firme di altri magistrati a proprio sostegno. Queste firme, oggi, sono quasi sempre fornite col supporto delle varie correnti politiche interne alla magistratura.
Se vince il “sì” non sarà più necessario l’obbligo di trovare queste firme, ma basterà presentare la propria candidatura.
Chi è per il “sì” sostiene che in questo modo i magistrati potrebbero sganciarsi dall’obbligo di trovare accordi politici e dal sistema delle correnti, così da premiare il merito piuttosto che l’adesione politica. Si limiterebbe anche la lottizzazione delle nomine, cioè la spartizione delle cariche tra i diversi orientamenti politici.
Chi è per il “no” afferma che la riforma non eliminerebbe il potere delle correnti poiché interviene in modo poco rilevante. Ma c’è anche chi non vede le correnti come un sistema negativo in sé, in quanto aggregazioni di persone che condividono ideali e principi comuni.
Se vuoi eliminare l’obbligo di trovare 25 firme per candidarsi al Consiglio superiore della magistratura vota “sì”, altrimenti vota “no”. La scheda verde è quella del quinto quesito.

Riepilogando:
I cinque quesiti chiedono agli elettori se vogliono abrogare – cioè eliminare – altrettante norme di legge. I referendum riguardano:
1) l’abolizione della Legge Severino, cioè l’automatismo che impedisce ai politici condannati di candidarsi o ricoprire cariche pubbliche,
2) la limitazione dei casi in cui un indagato può essere sottoposto a misure cautelari come il carcere o agli arresti domiciliari,
3) la separazione delle carriere tra giudici e pubblici ministeri,
4) l’eliminazione dell’obbligo di presentare 25 firme per candidarsi al Consiglio superiore della magistratura e infine
5) la possibilità per gli avvocati e docenti di diritto di contribuire alla valutazione dei magistrati.

I partiti per il “sì”
La Lega, in quanto promotore del referendum, è favorevole ai referendum, benché Matteo Salvini, sul tema del carcere per gli indagati abbia manifestato, in passato, posizioni contradditorie. Nelle ultime settimane, ha organizzato centinaia di banchetti in tutta in Italia in favore del “sì”.
Anche Forza Italia è favorevole a tutti e cinque i quesiti. Silvio Berlusconi, in particolare, sostiene da anni una politica garantista, nonché la necessità di un maggiore controllo sull’operato della magistratura. A causa delle Legge Severino, per altro, gli è stato impossibile candidarsi ad alcune tornate elettorali.
Anche Italiaviva di Matteo Renzi e Azione di Carlo Calenda sono a favore del referendum.

I partiti per il “no”
A capo dell’opposizione al referendum c’è il Movimento 5 stelle. Il leader del partito, Giuseppe Conte, ha detto che i quesiti non sono idonei “a migliorare il servizio e a rendere più efficiente e più equo il servizio della giustizia”. In particolare, i grillini sono contro l’abolizione della Legge Severino, che – affermano – permetterebbe a decine di politici condannati di candidarsi alle elezioni.
Chi sta nel mezzo
Nel Partito democratico non c’è una linea condivisa. Il segretario Enrico Letta ha affermato che una vittoria dei “sì” al referendum “aprirebbe più problemi di quanti ne risolverebbe”, ma ha sottolineato che nel partito c’è totale libertà di voto sulle questioni. Diversi esponenti di primo piano del Pd, poi, si sono detti favorevoli alla separazione delle carriere, alla limitazione delle misure cautelari e all’abolizione della Legge Severino.
Fratelli d’Italia, benché abbia una linea condivisa dai suoi esponenti, fa delle distinzioni tra un quesito è l’altro. La presidente del partito, Giorgia Meloni, si è detta favorevole ai tre quesiti che intervengono sulla magistratura (separazione delle carriere, abolizione delle firme per l’elezione del Csm e valutazione dei magistrati) ma è contraria alla limitazione della custodia cautelare e all’abolizione della Legge Severino.

Lascia una Risposta








 Acconsento al trattamento dei miei dati personali (Regolamento 2016/679 - GDPR e d.lgs. n. 196 del 30/06/2003). Privacy Policy.

Il presente sito fa uso di cookie anche di terze parti. Si rinvia all'informativa estesa per ulteriori informazioni. La prosecuzione nella navigazione comporta l'accettazione dei cookie. Leggi di più

Questo sito utilizza i cookie per fornire la migliore esperienza di navigazione possibile. Continuando a utilizzare questo sito senza modificare le impostazioni dei cookie o cliccando su "Accetta" permetti il loro utilizzo.

Chiudi