Tom Friede: l’uomo che si fa mordere dai serpenti velenosi

Da NATIONAL GEOGRAPHIC
La strana storia di Tim Friede: l’uomo che si fa mordere dai serpenti velenosi in nome della scienza
La partnership tra un immunologo e un ex meccanico di camion appassionato di serpenti ha lo scopo di trovare il Santo Graal della medicina: un antiveleno universale. Ma si tratta di un’attività molto rischiosa dalle conseguenze imprevedibili.

Friede, ex meccanico di camion di 53 anni del Wisconsin, è direttore di erpetologia presso l’azienda californiana di ricerca sui vaccini Centivax, che sta cercando di produrre un antiveleno universale per i più letali serpenti del mondo.

Tim Friede è stato morso da diversi tipi di serpenti velenosi oltre 200 volte. E in quasi tutti i casi è stato lui stesso a provocare attivamente la reazione dell’animale.

Specie letali tra cui cobra, mamba, vipere, taipan, serpenti a sonagli e bungali: Friede si è offerto volontariamente alle fauci di questi rettili, provocando quello che sarebbe potuto essere il morso fatale di alcuni tra gli animali più temuti del pianeta.

Oggi Friede, ex meccanico di camion di 53 anni del Wisconsin, è direttore di erpetologia presso l’azienda californiana di ricerca sui vaccini Centivax, che sta cercando di produrre un antiveleno universale per tutti i più letali serpenti del mondo. Ma quando ha iniziato questo hobby masochistico, era solo un appassionato collezionista di serpenti. Già da adolescente perlustrava le campagne del Wisconsin in cerca di serpenti giarrettiera, una specie solo leggermente tossica. La sua passione lo portò a tenere nei terrari in casa diversi serpenti, piuttosto che animali domestici: cobra, mamba, taipan, serpenti a sonagli; e la sua collezione cresceva insieme al disappunto dei genitori.

Essendo costantemente esposto al rischio di essere avvelenato, Friede si rese conto che doveva trovare il modo di sviluppare un’immunità. La sua teoria era che stimolando il suo organismo a produrre anticorpi per combattere la tossina, sarebbe stato fisicamente più attrezzato ad affrontare potenziali futuri morsi. Cominciò ad estrarre il veleno dai suoi serpenti, per poi iniettarselo in forma diluita, proprio come fanno i produttori di antidoti commerciali, usando gli anticorpi di cavalli o pecore. “Non è stato semplice, perché non ci sono libri su questo che spieghino come fare”, racconta a National Geographic (UK). “Così sono andato avanti per step, documentando il mio procedimento con annotazioni e foto”.

“Praticamente sono morto”
Era il 2001 quando Friede ha ricevuto il primo morso potenzialmente mortale – anche se in quel caso non l’aveva cercato. Era nella sua casa nel Wisconsin, e stava estraendo il veleno del suo cobra egiziano, quando il rettile si è rigirato e lo ha morso a un dito. Già fortificato da una certa immunità, Friede non ha subito gravi conseguenze. Ma poi, solo un’ora dopo, stava maneggiando un cobra monocolo, e questo gli si è scagliato contro affondando i denti sul suo bicipite destro.

“Due morsi di cobra, uno dopo l’altro, nell’arco di un’ora”, ricorda Friede. “Mi sono accasciato e sono praticamente morto. Non è stato divertente. Avevo un’immunità sufficiente per un morso, ma non per due. Ero veramente nei guai”.

Ai tempi in cui era solo un amante dei serpenti interessato a esplorare le reazioni del fisico umano al veleno, i controversi video di Tim Friede in cui si faceva mordere dai serpenti suscitarono un sinistro interesse su YouTube. Lui continuava a dichiarare che questa sua pratica aveva l’obiettivo di aiutare l’umanità, e i suoi esperimenti – e la sua sopravvivenza – catturarono a un certo punto l’attenzione dell’immunologo Jacob Glanville, che supportò Friede nella sua ambizione di diventare un “contenitore umano di antidoto” per la ricerca sui contravveleni.

Portato di corsa all’ospedale da sua moglie e dal vicino, rimase in coma per quattro giorni. Dopo essersi ripreso, realizzò che la sua pratica di auto-avvelenamento andava abbandonata, o perfezionata. “E scelsi la seconda”.

E così ha fatto. Nei successivi 17 anni ha unito i suoi liquidi corporei con quelli di un’ampia gamma di serpenti esotici. Oltre ai 200 morsi, Friede si è somministrato altre 500 dosi circa di veleno mediante ago ipodermico. Tra i veleni più tossici che si è iniettato ci sono quelli di taipan costiero, cobra acquatico, cobra egiziano, crotalo adamantino occidentale, crotalo di Mojave, tutte le quattro specie di mamba e vari bungali. “Volevo riunire i serpenti più velenosi del pianeta e batterli”, racconta.

Un dolore che ha uno scopo
In generale, quando un serpente morde, il suo liquido velenoso scorre sulle scanalature dei denti – oppure passa dai denti cavi – e viene iniettato nella carne della vittima. Fa male. “Quasi tutti i morsi sono dolorosi”, afferma Friede, che generalmente sacrifica gli avambracci. “Come una puntura d’ape moltiplicata per cento volte”.

Friede ci tiene a sottolineare di non essere mai stato motivato da una forma di machismo; questi suoi tentativi fin dall’inizio hanno fatto parte di un esperimento scientifico per scoprire se sarebbe riuscito, attraverso il proprio sistema immunitario, a sconfiggere alcuni tra gli animali più tossici che esistono in natura e aiutare altri esseri umani a farlo.

“Non l’ho mai fatto per apparire un tipo tosto o diventare famoso su YouTube”, spiega. Ciononostante, i video sui social che lo riprendono mentre si fa mordere dai serpenti hanno registrato centinaia di migliaia di visualizzazioni.

(Un mamba nero. Il nome di questo rettile deriva dal colore dell’interno della bocca, che mostra quando si sente minacciato).

Cobra egiziano. Questo grande serpente è dotato di una neurotossina e una citotossina, ed è menzionato nelle fonti classiche come la creatura usata per il suicidio di Cleopatra).

La visibilità che ne è derivata lo ha portato all’attenzione dell’immunologo Jacob Glanville, la mente che sta dietro Centivax. Glanville, anche lui americano, è cresciuto negli anni ’90 in un paesino piuttosto remoto del Guatemala durante la guerra civile di quel Paese, dove ha assistito alla sofferenza della popolazione per malattie e problemi di salute per cui mancavano le cure. Più tardi ha studiato immunogenetica e biologia computazionale presso l’Università della California a Berkeley e immunologia computazionale alla Stanford University.

Ora, con il suo lavoro presso Centivax, spera di riuscire a liberare del tutto il mondo dagli effetti dei patogeni. In cima alla sua lista di soluzioni da trovare c’è quella al veleno dei serpenti. Insieme a Friede – e ai preziosi anticorpi nel suo sangue – Glanville sta lavorando alla produzione di un antiveleno universale.

Individuare precisamente quali siano le specie di serpenti più velenosi al mondo non è semplice. Secondo l’Australian Venom Research Unit (l’unità di ricerca sui veleni australiana, N.d.T.) in termini di veleno effettivo, il serpente più tossico di tutti è il taipan dell’interno (Oxyuranus microlepidotus), che abita la parte centro-orientale dell’Australia. Il suo veleno contiene una miscela letale di tossine che colpiscono il sangue, i muscoli e il sistema nervoso.

La rivista Journal of Herpetology riporta che un solo morso contiene tossine sufficienti per uccidere almeno 100 esseri umani adulti. Fortunatamente questo animale è molto solitario, e vive in regioni aride in cui è raro che l’uomo possa incontrarlo.

Quasi altrettanto tossiche sono diverse specie di serpenti marini della regione dell’Indo-Pacifico, come il serpente di mare di Dubois, il serpente di mare dal ventre giallo e il serpente marino dalla testa spinosa. Anche queste specie raramente si trovano in aree antropizzate, quindi non è comune che provochino vittime. Altre specie sono meno velenose, ma per svariati motivi causano più morti.

Alcuni abitanti di un villaggio in Guinea aspettano fuori da una clinica di campagna che tratta i casi di morsi di serpente. L’obiettivo della ricerca di Centivax è produrre un antiveleno ad ampio spettro che possa essere facilmente conservato, e quindi impiegato in aree rurali dove le infrastrutture sono scarse, che vedono i più alti numeri di vittime per morsi di serpente.

Un giovane che è stato morso da un serpente viene curato presso una clinica di campagna in Guinea. Nelle zone agricole, dotate di poche e inefficienti infrastrutture, portare una vittima di morso di serpente presso una struttura medica specializzata come questa può essere complicato, così come può esserlo conservare gli antidoti, la maggior parte dei quali richiede la refrigerazione. Le vittime sono perlopiù poveri lavoratori agricoli che vivono in aree remote.

Molti dei morsi avvengono agli arti inferiori, per via del fatto che le persone, scalze o con calzature non idonee, calpestano i serpenti mimetizzati nell’erba alta o nei pascoli.

L’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) stima che siano 5,4 milioni le persone morse ogni anno dai serpenti, e fino a 2,7 milioni di queste ricevono un morso velenoso. Tra le 81.000 e le 138.000 persone muoiono a causa del morso, mentre arrivano a 400.000 quelle che devono subire l’amputazione dell’arto o rimangono con altre disabilità permanenti. Le regioni tropicali e subtropicali di Africa, Asia e America Latina sono le più colpite. I soggetti più a rischio di un esito letale sono i lavoratori agricoli e, per via della loro ridotta massa corporea – i bambini. La mancanza di calzature rende i lavoratori rurali poveri particolarmente vulnerabili.

È possibile che molte altre vittime non vengano denunciate. L’Africa Health Organisation (organizzazione africana della sanità, N.d.T.) spiega che questo accade “perché le vittime cercano assistenza presso fonti non mediche oppure non hanno accesso all’assistenza sanitaria”.

I serpenti mortali in numeri
Esistono circa 600 specie di serpenti velenosi che strisciano per il pianeta. Ma solo una decina circa di gruppi di specie sono responsabili della maggior parte di morti e casi di disabilità nell’uomo. Come indica l’OMS, alcuni si trovano in zone in cui gli agricoltori non indossano scarpe adatte. Altri sono più aggressivi, oppure iniettano il veleno in modo più efficiente, o in quantità tali da poter uccidere un uomo.

Tenendo presenti questi fattori, statisticamente, tra i serpenti più mortali ci sono il mamba nero, il taipan costiero, il cobra indiano, il bungaro comune, la vipera di Russel e la vipera rostrata. Quest’ultima (nome scientifico Echis carinatus), che vive in Medio Oriente e in Asia centrale, specialmente nel subcontinente indiano, è considerata da molti erpetologi il killer principale, tra tutti. Relativamente piccola, generalmente non più lunga di 60 cm, è poco appariscente ma estremamente aggressiva. Assume la posizione arrotolata su se stessa, con la testa al centro, così che quando sferra il suo morso, si scaglia come se rilasciata da una molla.

Uno studio universitario del 2020 ha rilevato che, nella sola India, 58.000 persone muoiono ogni anno a causa dei morsi di serpente, e in gran parte dei casi il colpevole è la vipera rostrata.

Un erpetologo britannico che conosce molto bene questa creatura letale è il Professor Nicholas Casewell, direttore del Centre for Snakebite Research and Interventions (Centro per la ricerca e il trattamento dei morsi di serpente, N.d.T.) presso la Liverpool School of Tropical Medicine (Scuola di medicina tropicale di Liverpool, N.d.T.). Istituito all’inizio degli anni ’80, il centro ospita oggi 200 serpenti velenosi appartenenti a 50 specie diverse, ed è il più grande di questo tipo nel Regno Unito.

(Il Professor Nicholas lavora presso il Centre for Snakebite Research and Interventions della Liverpool School of Tropical Medicine. Il centro ospita numerosi serpenti velenosi, soprattutto specie africane e indiane. Tra queste ci sono specie di vipere il cui veleno ha un’azione emotossica come la vipera rostrata e vipere soffianti, cobra ed elapidi dall’azione neurotossica come il mamba verde e il mamba nero.)

“Le vipere rostrate sono piccole e sembrano piuttosto innocue”, ha spiegato Casewell a National Geographic (UK). “Come gruppo di serpenti uccidono più persone in tutto il mondo di qualsiasi altro. Il punto non è tanto la tossicità del loro veleno, quanto piuttosto una questione socio-economica, perché questi animali abitano regioni agricole in cui i lavoratori tipicamente non indossano scarpe né guanti, e queste vipere mordono un elevato numero di persone.

A causa dei ritardi e delle difficoltà nell’accesso ad assistenza e cure sanitarie efficaci in queste parti del mondo, un grande numero di persone muoiono a causa dei morsi. Spesso possono volerci diverse ore se non giorni per portare una vittima presso una struttura sanitaria adeguata. A volte ci si affida prima alla medicina tradizionale. Altre volte capita che il paziente debba essere trasferito presso un’altra struttura perché mancano il personale o le medicine per curarlo. Spesso queste vittime muoiono durante i trasporti tra gli ospedali”.

Per contro, nel Regno Unito l’unico serpente velenoso è il marasso, per il quale l’antidoto è ampiamente disponibile. Anche se le possibili complicazioni rendono consigliabile evitare il suo morso a tutti i costi, l’ultimo cittadino britannico a morire per un morso di marasso è stato un bambino di cinque anni nel 1975.

Il primo antidoto per veleno di serpente a uso umano in assoluto fu quello prodotto dal medico francese Albert Calmette nel 1895, e la scienza medica non ha fatto troppi passi avanti da allora. Gli antiveleni vengono ancora prodotti immunizzando gli animali donatori come cavalli, pecore o cammelli con il veleno dei serpenti, prima di raccogliere e purificare gli anticorpi dal loro plasma per creare un siero.

(I marassi, che sono velenosi e in alcuni soggetti possono innescare una grave reazione, si possono vedere facilmente crogiolarsi al sole, soprattutto all’inizio della primavera, al risveglio dopo il letargo. Nel Regno Unito l’ultima morte registrata per morso di serpente risale al 1975).

Chimica in comune
Tornando alla Centivax, e al Santo Graal dell’antiveleno universale, Glanville e Friede mirano a rivoluzionare questi sistemi di trattamento obsoleti. Usando gli anticorpi di Friede sperano di individuare i siti di legame proteico condivisi dai serpenti più mortali. Uno degli anticorpi di Friede, denominato Centi-LNX-D9, è di particolare interesse. In esperimenti con topi di laboratorio “ha dimostrato di fornire una protezione ampiamente neutralizzante contro il veleno di cobra monocolo, mamba nero, serpente di mare bocca gialla, cobra egiziano, cobra del Sudafrica, cobra indiano e cobra reale”.

“Gli ospedali potrebbero essere troppo lontani per le vittime”, aggiunge. “Ma in ogni villaggio c’è una clinica medica, spesso è semplicemente una stanza davanti alla casa di qualcuno. Se una persona viene morsa, basterà che qualcuno corra a prendere l’antiveleno e lo somministri”.

Ci sono molti altri centri di ricerca nel mondo che perseguono gli stessi obiettivi. Uno dei principali organismi di finanziamento in questo campo è la Wellcome Trust, con sede a Londra. A condurre le attività di ricerca sui morsi di serpente è il Dr. Diogo Martins, che indica due centri britannici che stanno facendo progressi nella produzione di antiveleni. Il primo è il sopra menzionato Centre for Snakebite Research and Interventions di Liverpool, e il secondo un’azienda con sede nel Camarthenshire di nome MicroPharm, che si occupa dei serpenti più pericolosi dell’Africa subsahariana e del Medio Oriente.

Tra gli altri centri di ricerca che Martins evidenzia ci sono l’Instituto Clodomiro Picado, che fa parte dell’Università del Costa Rica; l’Instituto Butantan, nella città brasiliana di San Paolo; Ophirex, in California e The Queen Saovabha Memorial Institute, a Bangkok.

Dato che l’attuale tecnologia degli antidoti è vecchia di oltre 120 anni, e che le vittime del veleno dei serpenti arrivano a 138.000 ogni anno, perché questa minaccia letale non è ancora stata affrontata in modo più efficace?

“La maggior parte di queste persone sono povere”, afferma Glanville, evidenziando che quello dei morsi di serpente è un problema che affligge soprattutto i Paesi in via di sviluppo. “Si tratta di una questione finanziaria. Le malattie tropicali che vengono trascurate dalla ricerca medica sono considerate poco redditizie rispetto ad altri campi come quello dei tumori o delle malattie neurodegenerative, di cui sono vittima molte persone abbienti in grado di pagare molti più soldi per le cure”.

Diogo Martins della Wellcome Trust è d’accordo. “I serpenti esisteranno sempre. Non possiamo e non vogliamo eliminarli”, afferma. Suggerisce che i governi dovrebbero finanziare in modo più uniforme i trattamenti antiveleno, ma si rende conto anche che questa sarebbe una politica che difficilmente porterebbe dei voti. Inoltre, le comunità rurali che soffrono maggiormente del problema sono spesso anche le meno ascoltate dalla politica.

Una categoria sociale che invece i politici ascoltano è quella dei corpi militari, che operano anche in regioni e situazioni in cui sono presenti serpenti velenosi. Glanville ritiene che, una volta che avrà realizzato il proprio antiveleno universale, le organizzazioni militari potrebbero essere le prime a volerlo acquistare. Questo potrebbe rappresentare uno stimolo per le aziende farmaceutiche per produrre l’antiveleno su vasta scala, riducendone i costi, e rendendolo quindi accessibile alle persone che ne hanno più bisogno.

Dominic Bliss è un giornalista freelance e vive a Londra.

Questo articolo è stato pubblicato originariamente in lingua inglese su nationalgeographic.uk.

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